Il 2013 è ormai in procinto di
cedere il passo all'anno nuovo: qualcuno (e forse più di qualcuno) si
troverà, magari sfruttando alcuni giorni di riposo, a fare un bilancio
dei mesi passati e a stilare piani per l'avvenire. Il 2014 sarà l'anno
della ripresa, hanno detto alcuni; però ci vorrà tempo, hanno chiosato
altri. Fortunatamente, almeno da parte dei media, la pausa natalizia
giova un po' al silenzio.
Veniamo
a noi! Scusandomi con voi per le poche riflessioni proposte ultimamente
(la tesi concede poco tempo per altre letture), ho pensato di
salutare l'anno vecchio con un testo celeberrimo del poeta di Recanati,
uno dei dialoghi delle Operette morali che prediligo e che sempre
mi rileggo negli ultimi giorni prima della fatidica notte di S.
Silvestro; mi riferisco, l'avrete capito, al Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.
Si
tratta di un testo che mi ha sempre molto impressionato. In
particolare, le domande incalzanti che il passeggere rivolge al
venditore sul significato della vita passata e sulle aspirazioni per
l'avvenire mi hanno sempre creato un senso di disagio, non meno che le
risposte semplici, sincere del venditore (invito perciò a leggere il
dialogo completo, abbondantemente presente anche in rete). Un ritmo
incalzante prepara il terreno all'affermazione centrale che Leopardi
esprime per bocca del Passeggere:
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Tuttavia
mi pare poco simpatico concludere l'anno e porgere il mio augurio per
il 2014 con le affermazioni gravi e non troppo ottimiste di un filosofo. Così ho deciso di stemperare il clima dell'operetta con l'augurio semplice e lieto che la notte di Capodanno faceva il poverissimo Toni Oche, un personaggio del Paese silenzioso:
Bonì, bon ano, bon capo de l'ano
bone feste, bone minèstre
boni capòni, boni minestroni
'Na borsa de oro, una de argento
Dème 'na man, ca so' contento!
Il mio augurio (intendiamoci, accanto a quello di un prospero 2014!) che anche a voi, come accadeva per Toni Oche, la notte di Capodanno un'anima buona doni qualcosa in cambio di questa breve filastrocca: una nocciola, una nespola, un uovo o una tazza di brodo. Qualche decennio fa tanto bastava per dirsi contenti.