Da qualche tempo le mie giornate non sono scandite da grandi avvenimenti: la tesi esige tempo e pazienza, le pagine a volte procedono, altre volte stentano a susseguirsi. Così, le mattine e i pomeriggi trascorsi in biblioteca sfumano, divengono simili e indistinti, come avvolti dalla nebbia. E dirlo in questi giorni sembra davvero un'ironia: nebbia fuori, nella città, e nebbia dentro la biblioteca e tra i pensieri...
Ci sono momenti però in cui è bene staccare, liberarsi dai quotidiani pensieri e dare alla mente una boccata d'aria fresca. Così ho accolto con entusiasmo, lo scorso mercoledì, l'invito di un amico a partecipare ad una lezione-concerto pomeridiana nella celebre Sala dei Giganti. Tema dell'iniziativa: i Canti di Ossian. Come dicevo, ho accettato senza troppo rifletterci, felice, tra l'altro, della coincidenza tra pensieri, realtà e mondo della letteratura: nell'immaginario di Macpherson, l'autore dei Canti di Ossian, i paesaggi scozzesi sono spesso avvolti dalla nebbia, un'idea che qualche decennio dopo, in piena età romantica, avrà il suo pieno sviluppo. La nebbia impedisce una visone nitida, avvolge, deforma, nasconde e insieme rivela, imponente manifestazione di una natura nei confronti della quale l'uomo non può che apparire minuto osservatore, come accade nel celebre dipinto di Caspar David Friedrich, datato al 1818, Viandante sul mare di nebbia.
La lezione sui Canti di Ossian, tenuta da un celebre professore di letteratura, si è rivelata poi una bella introduzione alla seconda parte del pomeriggio, protagonista un'orchestra di giovani che ha emozionato il pubblico suonando l'overture Die Hebriden (op. 26) di Felix Mendelssohn.
La lezione sui Canti di Ossian, tenuta da un celebre professore di letteratura, si è rivelata poi una bella introduzione alla seconda parte del pomeriggio, protagonista un'orchestra di giovani che ha emozionato il pubblico suonando l'overture Die Hebriden (op. 26) di Felix Mendelssohn.
Mi sono sempre piaciute le commistioni tra arti: come in una tavolozza di colori, spesso è mescolando che si colgono possibilità espressive inattese. Oltretutto, come comprendere pienamente il passato se non attraverso una visione complessiva delle manifestazioni umane e artistiche? Peccato che la musica si studi così poco!
Terminato il concerto, salutati gli amici presenti, mi sono avviato. Fuori la città era già buia e una nebbia pesante, invadente, avvolgeva strade e piazze, sfumando i contorni di persone ed edifici, penetrando col suo odore amarognolo sotto i vestiti. Le luci delle vetrine attiravano gli sguardi dei passanti e quasi tracciavano la via ai passeggiatori più indecisi. Mi è allora tornato in mente il vècio dell'Altipiano. In una delle ultime interviste, ospite di "Che tempo che fa", Mario Rigoni Stern si trovò a spiegare ad un incredulo Fabio Fazio le differenze che si possono cogliere, nei rispettivi odori, tra neve e nebbia. E quando Fazio chiese se si trattasse di espedienti letterari, il vècio scosse la testa: "Sono esperienze vere" disse. Chissà cosa avrebbe detto dell'Italia di questi giorni, persa nella nebbia di un significato che si stenta ad afferrare, tra ambigue proteste e ancor più ambigui e sfuggenti aneliti di cambiamento...
Forse avrebbe suggerito di imparare ad osservare. E tra la nebbia non è facile. Come l'altra sera, si rischia di farsi guidare da luci tanto scintillanti quanto effimere. Giusto mantenere l'attenzione, vedere nel profondo. Ma capitano i momenti di stanchezza. E allora, se non possiamo sottrarci al gioco, ci possiamo almeno augurare, come ci suggerisce la Nebbia di Giovanni Pascoli, che essa nasconda, sfumi le cose inutili e distanti.
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le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli,
d'aeree frane!
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba,
da' lampi notturni e da' crolli,
d'aeree frane!
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