domenica 19 aprile 2020

Ritrovamenti da quarantena: il Gattermann di Primo Levi

Come gli amici più stretti ben sanno, la suprema arte del rumare, di cui ho avuto modo di scrivere qualche anno fa (Rumando d’estate… un ritrovamento straordinario), è una delle attività che più mi stanno a cuore, a cui mi dedico sovente e volentieri nel tempo libero e che, modestia a parte, ritengo di saper ormai svolgere con una discreta competenza oltre che con passione notevole – e per questo mi sembra riduttivo chiamare tutto ciò con i termini banali e spesso logorati di ‘hobby’ o ‘passatempo’.

Naturalmente l’arte del rumare si può esercitare quasi esclusivamente in tempi normali. In periodi eccezionali come quello in cui viviamo essa è pressoché impossibile da praticarsi secondo gli standard consueti: non è infatti nelle librerie linde e profumate che essa trova la sua applicazione, ma in mercatini polverosi, negozi dell’usato, cooperative, bazar nostrani, soffitte, cantine, talora addirittura discariche. La fisicità richiesta da questa umile, lenta azione di ricerca, spesso segnata dal successo ma talora anche da delusioni e sconfitte, è chiaramente impraticabile nell’isolamento imposto da decreti e ordinanze. Ma, dicevo, c’è sempre un ‘quasi’, un breve pertugio che consente limitati spazi di manovra ma non un’assoluta stasi delle operazioni. Mi riferisco, ovviamente alla rete.
Il piacere di rumare in rete è ovviamente molto diverso da quello che si prova in praesentia. Più che la metafora della caccia generica o della pesca, che si adattano meglio all’attività esercitata in tempi normali, in rete si dovrebbe parlare di ‘caccia di selezione’, un’attività pianificata e studiata negli obiettivi e nelle modalità, una ricerca mirata, precisa. L’obiettivo infatti non è in gran parte ignoto come in un’incursione fisica, come io almeno la intendo, ma è il libro raro, l’edizione particolare, il tassello mancante per una collezione. Chi ha letto il breve saggio di Walter Benjamin Tolgo la mia biblioteca dalle casse, Il mondo di ieri di Stefan Zweig o La biblioteca di notte di Alberto Manguel sa a cosa mi riferisco.

Si tratta di navigare tra le molte decine di siti, italiani e stranieri, noti o semisconosciuti, grandi o piccoli, specializzati o di semplici possessori, e di cercare. Ripeto, è soprattutto una caccia mirata, ma può accadere anche di imbattersi più o meno per caso nell’edizione dimenticata o nel tesoretto impensato. È chiaro che “grandi colpi”, acquisti cioè di piccoli o grandi tesori a prezzi convenienti quando non addirittura stracciati, possibili o anche frequenti per un rumatore esperto nel mondo reale, sono in rete molto più difficili da realizzare.

Ma veniamo alla scoperta di questa settimana, un libro che avevo cercato forse ai lontani tempi della mia tesi triennale ma che poi avevo dimenticato. L’altra sera, dopo aver visto l’interessante documentario “Le mani di Primo Levi” su Rai play, quel libro è ricomparso nella memoria e ha ripreso a solleticare la mia fantasia. Si tratta del manuale su cui Levi studio la chimica organica pratica, quel Die Praxis des organischen Chemikers di Ludwig Gatterman di cui fa menzione per la prima volta in Se questo è un uomo, nel capitolo Esame di chimica:

«Qualcosa mi protegge. Le mie povere vecchie Misure di costanti dielettriche interessano particolarmente questo ariano biondo dalla esistenza sicura: mi chiede se so l’inglese, mi mostra il testo del Gattermann, e anche questo è assurdo e inverosimile, che quaggiù, dall’altra parte del filo spinato, esista un Gattermann in tutto identico a quello su cui studiavo in Italia, in quarto anno, a casa mia».
Primo Levi, Se questo è un uomo. La tregua, Einaudi, Torino 1989, p. 96.

Ho fatto una veloce ricerca nei principali siti che frequento di solito. La ricerca è stata tutto sommato facile e rapida: un’unica occorrenza, in una libreria antiquaria del nord. Allora mi ha sfiorato per un attimo il pensiero di rinunciare: le librerie antiquarie non offrono solitamente libri a buon prezzo e il piacere del ritrovamento aumenta in me se è accompagnato da una cifra bassa per ottenere l’agognato volume. Non mi si fraintenda, non si tratta affatto di un vile sentimento legato al risparmio di denaro. No, è il piacere di salvare un libro che altri hanno ritenuto di poco valore, è lo scovare il tesoro nel campo arato da altri centinaia di volte, è trovare la perla rara nell’ostrica finita per errore nel mucchio di quelle scartate.

Ma l’ansia di una ritirata ha ceduto alla gioia del colpo di mano possibile: il prezzo era buono, solo lievemente superiore alla media contando le spese di spedizione, e l’unicità del pezzo unita al mio amore per Levi hanno fatto il resto. L’ho ordinato e in capo a pochi giorni Die Praxis des organischen Chemikers, Berlin 1939, era sulla mia scrivania.

È un manuale austero, la cui autorità promana sin dalla copertina, al centro della quale, dopo autore, titolo, tiratura (26esima edizione!) e curatela, campeggia il logo dell’editore Walter De Gruyter & Co. All’interno la stampa è nitida e l’impressione si coglie lieve al tatto, le illustrazioni (cinquantotto, come richiamato sul frontespizio), arricchiscono taluni passi e fanno più chiaro e arioso il testo, come finestre in un antico palazzo. Le formule, per me purtroppo spesso incomprensibili, rendono poi il tutto come pervaso dal mistero della «Materia-Mater», la «madre nemica» (Così in Ferro, racconto del Sistema periodico) con cui Levi, da buon chimico, amava ingaggiare confronti.

Ecco ormai sulla scrivania la mia copia del Gattermann, questo libro tanto importante per Levi. Fu infatti grazie al tedesco imparato per studiarlo se il prigioniero 174.517 poté comprendere la lingua degli aguzzini, primo fondamentale ostacolo alla sopravvivenza in lager. E fu ancora anche grazie ad esso se, come ricordato sopra, Levi poté sostenere l’esame di chimica che lo preservò dal lavoro più duro a Monowitz. Infine questo manuale segnò anche il ritorno alla vita di Levi, al suo lavoro di chimico. Questo debito è testimoniato dal fatto che tre pagine di questo manuale saranno da Levi inserite, col titolo significativo Le parole del Padre, nella raccolta antologica La ricerca delle radici (Einaudi, Torino 1981):

«Includere fra le letture predilette queste tre pagine del mio vecchio testo di Chimica Organica Pratica non vuol essere una provocazione. In trent’anni di professione le ho consultate centinaia di volte, le ho imparate quasi a memoria, non le ho mai trovate in difetto, e forse hanno silenziosamente stornato guai da me, dai miei compagni di lavoro e dalle cose che mi erano affidate. Ma la loro citazione qui non è solo un atto di riconoscenza e di omaggio. Vi si sente qualcosa che è più nobile del puro ragguaglio tecnico: l’autorità di chi insegna le cose perché le sa, e le sa per averle vissute; un sobrio ma fermo richiamo alla responsabilità, il primo, a ventidue anni, dopo sedici anni di studio e infiniti libri letti. Le parole del Padre dunque, che ti risvegliano dall’infanzia e ti richiamano adulto sub conditione».
                                                                             Primo levi, La ricerca delle radici, Einaudi, Torino 1981, p. 83.