domenica 31 luglio 2016

"Il giorno del giudizio" di Salvatore Satta: un esempio grande letteratura

Don Sebastiano Sanna Carboni, alle nove in punto, come tutte le sere, spinse indietro la poltrona, piegò accuratamente il giornale che aveva letto fino all'ultima riga, riassettò le piccole cose sulla scrivania, e si apprestò a scendere al piano terreno, nella modesta stanza che era da pranzo, di soggiorno, di studio per la nidiata dei figli, ed era l'unica viva nella grande casa, anche perché l'unica riscaldata da un vecchio caminetto...
 
Da tempo non mi capitava di leggere un romanzo di ampio respiro, un testo di grande letteratura. L'esperienza è finalmente avvenuta con Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, libro di cui ho riportato l'incipit e del quale, ad essere sincero, fino a pochi mesi fa mai avevo sentito parlare. L'ho scoperto grazie alla splendida trasmissione di Radio 3 "Ad alta voce", in una suggestiva interpretazione di Toni Servillo che potete ascoltare cliccando qui

Salvatore Satta
Vale la pena scrivere due parole sull'autore. Giurista insigne, autore fra l'altro di un monumentale Commentario al Codice di Procedura Civile, Salvatore Satta nacque a Nuoro nel 1902 e morì a Roma nel 1975. In vita non pubblicò mai nessuno scritto di carattere letterario. Il giorno del giudizio, scritto a partire dal 1970, fu ritrovato dai famigliari di Satta e pubblicato nel 1977 dalla Casa Editrice Cedam. Passato inizialmente sotto silenzio, fu ripubblicato due anni dopo da Adelphi, conoscendo da allora un successo straordinario.

Il romanzo, fortemente autobiografico, è un viaggio nella memoria della Nuoro di fine Ottocento - inizio Novecento, la cittadina sarda in cui, come detto, l'autore nacque e dove trascorse la propria infanzia. Tuttavia l'autobiografia non può esaurire da sola il racconto, ne è certo la linfa e la radice ma c'è dell'altro: Il giorno del giudizio è un ritorno al mito, ad un mondo ancestrale segnato da regole proprie e scandito da un tempo che pare dilatarsi come la stessa narrazione, la quale procede vorticosa, per nuclei che si richiamano l'uno con l'altro. Non è un caso che il primo riferimento temporale preciso arrivi parecchio avanti, facendo irrompere con violenza nella piccola Nuoro il mondo di fuori: si tratta dell'assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914, l'anno della catastrofe europea.

La vicenda, che prende le mosse dal racconto della vita del notaio Don Sebastiano Sanna Carboni e della sua famiglia, si dilata progressivamente abbracciando la vita di decine di personaggi che, come rivela la voce narrante, ormai sono tutti uno a fianco all'altro, dimenticati nel cimitero della cittadina.

Il parallelo con l'Antologia di Spoon River viene spontaneo e in effetti molti commentatori del libro affiancano l'opera di satta a quella di Lee Masters. Tuttavia ciò che a mio avviso differenzia il romanzo dalla raccolta poetica è l'atteggiamento di fondo: lo sguardo che traspare dalla voce narrante nel Giorno del giudizio è pervaso da un senso di fine, di oblio, di morte che attraversa i personaggi anche quando sono apparentemente nel pieno della vita. Dal notaio Don Sebastiano agli avventori del caffè Tettamanzi, dai preti della cittadina, presi dalle beghe e dagli interessi, all'infelice Gonaria che vive solo per vedere il fratello nominato canonico, da Donna Vincenza, divorata dall'odio nei confronti del marito Don Sebastiano, al povero Pietro Catte, i personaggi del romanzo di Satta sono pervasi dal senso della fine, persi in un tempo mitico e circondati da un nulla che spesso si fa assordante ma al quale, per il fatto stesso di essere esistiti, non si può nemmeno prender parte completamente. Di qui il significato profondo che sta dietro al titolo e la dicitura di <<capolavoro della solitudine>> data all'opera da George Steiner.

In tutto ciò la scrittura sembra non avere, nelle intenzione del narratore, alcun potere salvifico. Così infatti comincia il capitolo V: <<Scrivo queste pagine che nessuno leggerà, perché spero di avere tanta lucidità da distruggerle prima della mia morte, nella loggetta della casa che mi sono costruito nei lunghi anni della mia laboriosa esistenza>>. Eppure l'autore Satta, dietro il nichilismo della voce narrante, scrive, rievoca, e lo fa con sofferenza, nonostante la sofferenza, scavando, riesumando un mondo ormai morto dal quale è partito ancora giovinetto ma che ha serbato dentro di sé.

Non voglio dilungarmi oltre. Concludo con due parole sulla scrittura: siamo di fronte ad un grande narratore, che sa mettere in campo uno stile denso, partecipato, a tratti addirittura visionario, uno stile che dipinge con tratti memorabili i personaggi e smuove ed emoziona il lettore fino a scuoterlo, che è stile nel senso vero.
Di fronte al piattume che spesso connota tanta scrittura odierna, Il giorno del giudizio è un libro dal sapore forte, da gustare fino in fondo come un cibo raro ormai scomparso.

sabato 30 luglio 2016

Collaborazione con vicenzaingreen.it

Cari amici lettori,
una brevissima comunicazione per mettervi al corrente che ho iniziato a collaborare alla pagina vicenzaingreen.it, un sito che punta a promuovere ecologia e sostenibilità nel territorio vicentino. I miei interventi dovrebbero avere cadenza mensile e riguardare argomenti storici, culturali, letterari e di riflessione. 
Al link che segue trovate il primo articolo, uscito qualche giorno fa: http://vicenzaingreen.it/veneto-terra-corre-pace-non-trova/.
Buona lettura e a presto!


domenica 10 luglio 2016

La vita di Mario Rigoni Stern: una biografia che si legge come un romanzo

Ho terminato ormai da qualche settimana la lettura di Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri, biografia del "Vecio dell'altipiano" scritta da Giuseppe Mendicino. L'autore, studioso per passione e non per professione, grande conoscitore dello scrittore asiaghese, aveva già curato due raccolte di scritti di Rigoni Stern: Dentro la memoria. Scritti dall'Altipiano (Editoriale Domus, 2007, allegato alla rivista "Meridiani Montagne") e Il coraggio di dire non. Conversazioni e interviste 1963-2007 (Einaudi, 2013).

Avevo acquistato il volume il 12 giugno scorso ad Asiago, di ritorno dalla splendida passeggiata fra memoria e letteratura in compagnia di Un anno sull'altipiano di Emilio Lussu (di cui ho scritto qui). Una settimana dopo ho avuto l'onore di incontrare di persona Mendicino, nel corso di una suggestiva presentazione organizzata dalla Libreria Liberalibro di Valdagno.

Mario Rigoni Sern nel celebre ritratto di Adriano Tomba
L'incontro e una veloce ma intensa chiacchierata con l'autore mi hanno acceso ancor più il desiderio di leggere il libro. Ho dovuto attendere però ancora qualche giorno, a causa delle incombenze legate agli esami di terza media. Conclusi gli esami, licenziati i miei ragazzi, non ho avuto più impedimenti e in pochi giorni ho percorso le 345 pagine sulla vita dello scrittore. Lo confesso: ero pieno di curiosità e carico di aspettative. Chi mi conosce sa quanto ami i libri di Rigoni Stern e quanto l'abbia seguito nei suoi ultimi anni. A lui devo molto, come scrittore ma anche come uomo.

La copertina del libro
Il lavoro di Mendicino non ha deluso le aspettative. Da ottimo conoscitore dei testi e da amico ed estimatore di Rigoni, che frequentò fino a pochi mesi prima della scomparsa, nel giugno 2008, Mendicino, che ha lavorato per sette anni all'opera, ha compiuto un lavoro meticoloso e preciso; accanto a ciò spiccano l'umanità con cui l'autore si è dedicato alla scrittura e il profondo affetto per lo scrittore. Quest'ultimo aspetto dà, a mio avviso, un sapore particolare al libro: non un arido saggio accademico ma un libro vivo, preciso nelle ricostruzioni, basato in buona parte sugli scritti dell'autore oltre che sulle informazioni reperite consultando la famiglia e i documenti, ma anche, ripeto, profondamente umano, profondamente vivo.

Altro aspetto che mi ha colpito è la tensione etica che traspare nelle pagine di Mendicino, una tensione frutto di quello stesso afflato che sosteneva la vita e la scrittura di Rigoni Stern. Di lui si legge a tal proposito nell'Introduzione: <<Lo indignavano le ingiustizie e le prepotenze verso i deboli e verso la natura, aveva un codice di valori solido e coerente, che lo guidava nella vita di tutti i giorni come nella scrittura. 
Anche quando le sue storie rievocano vite e luoghi portati via dal tempo, la tensione etica che le attraversa le rende attuali, perché guerre, distruzione dell'ambiente e ingiustizie non sono regredite rispetto al secolo passato. La nitidezza della sua scrittura e la narrazione dei fatti come davvero avvenuti sono un piccolo viatico di civiltà contro retorica e superficialità, oltre a essere una piacevole compagnia>>. Non serve aggiungere altro; qui c'è tutto Mario Rigoni Stern.

Rigoni Stern con Giuseppe Mendicino
Fra i capitoli per me più appassionanti del libro figurano il secondo, dedicato alla scuola militare di alpinismo di Aosta (1938-39), il terzo, che narra delle campagne di Francia e Grecia (1940-41) il quarto e il quinto, relativi alla campagna di Russia (1941-43) e alla tristemente nota ritirata. Altrettanto interessante il capitolo nono, dedicato alle grandi amicizie di Rigoni Stern: con Elio Vittorini, coi compagni di guerra e di prigionia, con Nuto Revelli e, soprattutto, con Primo Levi.

Il libro si distingue per una scrittura piana e scorrevole, caratteristiche che ricordano lo stile stesso di Rigoni Stern, e per un ricco apparato fotografico. Insomma, una lettura che non può mancare per gli estimatori del "Vecio". A ormai otto anni dalla scomparsa di Rigoni, il libro di Mendicino restituisce con sapienza una figura unica della nostra terra, grande scrittore e grande uomo, in una biografia che si legge col gusto di un romanzo.