lunedì 18 luglio 2022

Libri da leggere: I compagni sconosciuti di Franco Lucentini

Quando sentiamo il nome di Franco Lucentini (1920-2002) il pensiero corre al sodalizio letterario e di amicizia che lo unì a Carlo Fruttero (1926-1912), eppure nel 1951 un giovane Lucentini inaugurava con un racconto lungo "I gettoni" einaudiani diretti da Elio Vittorini.

Ambientato in una Vienna appena uscita dalla Seconda guerra mondiale, fra edifici in macerie e persone che tentano di riprendere a vivere nonostante la bufera che ha travolto ogni cosa, I compagni sconosciuti ci presenta un personaggio che ha deciso di farla finita ma che, proprio sul ponte da cui sta per gettarsi, viene salvato da un soldato russo di guardia. Inizia così, fra compagni sconosciuti, un percorso di relazioni: pochi giorni, ma che hanno l'intensità di una vita intera.

Un libro duro, un racconto quasi senza speranza eppure pervaso di dolcezza e di malinconia narrato con una lingua innovativa, spuria, plurale. 

«Posò il lavoro accanto a sé, sulla cassa del carbone, e si aggiustava la veste sulle ginocchia. Poi si alzò, stava in piedi vicino al letto.
— Nc znaiu, — ripeté. Non lo sapeva. No ja chatiela b… pamòtch... — Ma avrebbe voluto aiutarmi...
— I kak? — E come?
— N... ne znaiu —. Non lo sapeva.
— Ne znaiesc, a? — Ah, non lo sapeva?
— N… net. Ne znaiu... ne znaiu...
Stavo supino sul letto e la guardavo, nella luce che già finiva. Guardavo i capelli scoloriti, la faccia nell'ombra. Poi guardavo la vecchia giacca che portava, i bottoni arrugginiti alla cintola, la veste pesante che cadeva diritta sulle ginocchia. Volevo parlare, ma non potevo parlare. Mossi una mano sulla coperta e stesi piano il braccio, le toccai l'orlo della veste, le ginocchia. Lei stava ferma, non si muoveva, sentivo con la mano le gambe che tremavano. Di sotto era vestita anche pili povera, pure io tremavo e tenevo gli occhi chiusi. Quando li aprii vidi che piangeva, le lagrime le rotolavano sulla faccia.
La mano mi ricadde e le tenevo solo l'orlo della veste; poi lasciai pure quello, mi voltai contro il muro. La sentii che si sedeva di nuovo sulla cassa e piangeva.
Pianse piano, piano, per un pezzo, poi non so se ancora piangeva, si sentiva solo respirare. Io guardavo la parete scrostata, vicino al cuscino, e ogni tanto muovevo un dito, premevo con l'unghia sul calcinaccio che veniva via».

Franco Lucentini, I compagni sconosciuti, Einaudi, Torino 1951, p. 58.




sabato 2 luglio 2022

Libri da leggere: i diari di Emanuele Artom

«Siamo figli della nostra generazione: riusciremo a rinnovarci senza invecchiare? (p.148)».

I diari di Emanuele Artom (1915-1944), partigiano ebreo piemontese, sono un testo che tutti dovremmo leggere. E non soltanto per il già di per sé straordinario il percorso spirituale di Artom, intellettuale antifascista e poi partigiano col ruolo di commissario politico per il P.d'A. in Val Pellice e in Val Germanasca; li dovremmo leggere per l'onestà con cui, a partire dalla propria esperienza, Artom racconta prima l'evoluzione di una generazione e quindi la Resistenza, una Resistenza per niente mitizzata ma da lui vissuta con altissimo senso morale.

I diari si compongono di due parti: la prima dal gennaio 1940 al settembre 1943, la seconda dal novembre del 1943 al 23 febbraio 1944. Ne emerge il progressivo percorso intellettuale e morale dell'autore, fino alla scelta di aderire alla Resistenza. Vi si trovano fatti ed episodi della vita quotidiana ma anche profonde riflessioni sul significato profondo che l'antifascismo prima e la lotta partigiana poi rappresentano per Artom: uno scontro etico fra un mondo di sopraffazione e la possibilità, attraverso la Resistenza, di costruire una società nuova, fondata su presupposti morali totalmente diversi rispetto al fascismo. 

Catturato nel marzo del 1944, Artom morì a seguito delle torture subite; il suo corpo non è mai stato ritrovato.