domenica 20 aprile 2014

Un augurio per il 25 aprile

Oggi i cristiani di diverse confessioni festeggiano la Pasqua. Venerdì prossimo, 25 aprile, lo Stato italiano commemorerà il 69esimo anniversario della Liberazione. Circostanze diverse, certo; eppure, scrivendo queste righe non ho potuto evitare di salutare positivamente il cortocircuito che le due ricorrenze hanno creato tra i miei pensieri. 
Due feste, due momenti di rinascita, due ragioni di speranza. Non voglio cadere nella facile retorica, solo augurare a tutti voi, amici lettori, una settimana ricca di memoria e, al contempo, di speranza per il futuro, augurandoci che non si trascinino le polemiche attorno alla festa della Liberazione. Il 25 aprile non è infatti la festa di una parte politica né di un partito o di una fazione particolare. Al pari del 2 giugno, anniversario della proclamazione della Repubblica, essa è festa nazionale. Il 25 aprile celebra la fine in Italia del conflitto più distruttivo di sempre, la Seconda guerra mondiale, e la Liberazione dall'oppressione nazista e fascista: una data che, riportando la pace dopo lutti e distruzioni immani, ha posto le basi dell'Italia libera, unita, repubblicana, democratica in cui viviamo.
Per ragioni che potremmo definire istituzionali e insieme come impegno personale, ho ripreso in mano in questi giorni un'opera monumentale, continuamente ristampata a partire dalla prima edizione, uscita nel 1954: le Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, raccolte in volume a cura di Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli (Einaudi). L'opera, che contiene testi di condannati a morte di tutta Europa, rappresenta una lettura commovente e in grado come poche altre di far riflettere su cosa rappresentò, non solo in Italia, la Resistenza a nazisti e fascisti negli anni della Seconda guerra mondiale. 

Giordano Cavestro, nome di battaglia “Mirko” aveva diciott’anni quando venne catturato dai nazifascisti. Nel 1940, a quindici anni, aveva dato vita, di sua iniziativa, ad un bollettino antifascista attorno al quale si erano mobilitati numerosi militanti. Dopo l’8 settembre 1943 lo stesso nucleo era diventato centro organizzativo e propulsore delle prime attività partigiane nella zona di Parma. Processato, venne fucilato il 4 maggio 1944 a Parma. Vi lascio, amici lettori, con le sue ultime parole. Ci aiutino a riflettere, a ricordare il sacrificio dei tanti che hanno dato la vita per la libertà di tutti, a tacitare gli strepiti molesti, a fare silenzio.

Parma. 4.5.1944
Cari compagni, ora tocca a noi. 
Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d'Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l'idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile.Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. 
La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. 
Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.


Cara mamma e cari tutti,
purtroppo il Destino ha scelto me ed altri disgraziati per sfogare la rabbia fascista. Non preoccupatevi tanto e rassegnatevi al più presto della mia perdita.
Io sono calmo.
Vostro
                                                                              Giordano 




domenica 13 aprile 2014

Quando il pensiero si piega all'ideologia

Ho terminato alcuni giorni fa la lettura di un testo uscito da poco in Italia, un saggio che, non appena l'avevo scorto in libreria, mi aveva subito incuriosito: I filosofi di Hitler, di Yvonne Sherratt. L'autrice, docente a Oxford, dimostrava un buon curriculum. Ma è stato il tema a farmi acquistare il libro: la filosofia utilizzata dall'ideologia nazista, da Hitler e gregari in primo luogo, ma anche da quanti si prestarono a sostenere il movimento nazista. Nella presentazione che compare sul risvolto di copertina si trova infatti scritto:
<<Nel corso della storia l’infamia ha assunto molte forme, nessuna più spregevole, probabilmente, di quella incarnata dalla rispettabilità. È tuttavia con questa maschera che l’ideologia razzista e antisemita del nazismo poté imporsi, senza quasi trovare ostacoli, nelle università e nei centri di ricerca di tutta la Germania>>. 

Dietro la parvenza della rispettabilità, dietro il velo della filosofia (e anzi grazie ad essa) l'ideologia nazista si impose negli ambienti accademici tedeschi, coinvolgendo studenti e studiosi, in certi casi eminenti studiosi.
Nel testo si possono individuare tre parti: una iniziale, dedicata ai filosofi che il dittatore stesso sfruttò, spesso deformandone i contenuti, estrapolando a piacimento discorsi e concetti; una centrale, la quale analizza il contributo di alcuni filosofi celebri che aderirono alla causa nazista, collaborando attivamente col regime; una terza parte, che punta invece l'attenzione su quanti si opposero in diverse forme all'ideologia nazista e alla violenza che essa attuava anche nei confronti del mondo accademico. 
Il risultato è una tesi duplice: in primo luogo la filosofia si rivela, secondo l'autrice, tutt'altro che disciplina neutra o fuori dalla realtà. Il mondo del pensiero, anzi, si mostra a vario titolo fortemente legato alla concretezza e al contesto socio-politico; in secondo luogo Sherratt evidenzia come molti filosofi collusi col nazismo siano stati  riabilitati e vengano oggi studiati con interesse, trascurando troppo spesso il contesto storico in cui idee e concezioni furono formulate.
A leggere I filosofi di Hitler non mancano le sorprese. Solo un esempio, che particolarmente mi ha colpito: tra i grandi pensatori sfruttati da Hitler figurano non solo, come in effetti ci si potrebbe aspettare, Nietzsche o Hegel ma anche Immanuel Kant. Grazie al suo antisemitismo, di cui tra l'altro non fece mai mistero, il filosofo di Königsberg fu facilmente fagocitato all'interno dell'ideologia del dittatore tedesco.
Per quanto riguarda i filosofi che si prestarono a sostenere il nazismo, si parla dell'ideologo del partito, Alfred Rosenberg ma anche di nomi insigni della filosofia del Novecento quali Carl Schmitt, giurista e filosofo del dirirtto, e Martin Heidegger. Su quest'ultimo, in particolare, il giudizio di Sherratt appare assai duro. Analizzando con perizia dati e documenti, la studiosa mette in luce il contributo attivo del filosofo al nazionalsocialismo. Convinzione radicata o mero opportunismo? L'autrice se lo chiede, propone risposte, lasciando tuttavia al lettore l'ultima parola. 
Accanto a questi nomi, dicevo, compaiono quelli di quanti si opposero in varia misura al nazismo. In capitoli loro dedicati vengono raccontate le storie di Edmund Husserl, maestro di Heidegger da questi poi ripudiato, di Theodor Adorno, di Walter Benjamin, di Hannah Arendt, di Kurt Huber, filosofo e musicologo insigne, oggi dimenticato. Politicamente conservatore, Huber per tutti gli anni Trenta continuò ad insegnare, messo in disparte dai nazisti, non perseguitato, solo perché non accettava che le sue ricerche nel campo della musica popolare fossero utilizzate a scopo ideologico. Fu con la guerra che la sua opposizione divenne attiva. Impressionato dalle notizie di atrocità sempre più gravi che giungevano dal fronte orientale, Huber entrò nella Rosa Bianca. Arrestato, fu giustiziato nel luglio 1943.

I filosofi di Hitler doveva essere una lettura ricreativa. Invece si è rivelato per me un libro sconvolgente. Documentato quanto un saggio, è scritto con uno stile narrativo, coinvolgente e fortemente partecipato. Numerosi anche i documenti inseriti nella narrazione, vere e proprie finestre sui personaggi e sul periodo. L'autrice, con un'onestà intellettuale tipica degli studiosi anglosassoni e che spesso manca dalle nostre parti, non fa mistero delle proprie posizioni. Eppure non fa violenza al lettore, riesce a coinvolgerlo, a interrogarlo, a scuoterlo a volte, ma con partecipazione e ansia sincere. Un forte senso morale si respira tra le pagine de I filosofi di Hitler ed esplicito risulta anche il monito finale: è giusto studiare il pensiero di taluni ritenuti grandi della filosofia senza comprendere pienamente il contesto in cui vissero e operarono?

Parafrasando la presentazione sul risvolto di copertina, Yvonne Sheratt, restituendo il clima culturale e i retroscena politici degli anni più bui della nostra storia, ci rivela come grandi intelligenze possano cedere all'abiezione. Un monito a chi studia ma anche a chi vive nel presente.

giovedì 3 aprile 2014

Avviso ai lettori

Cari amici lettori,
desidero avvertirvi che a causa dei numerosi impegni primaverili le riflessioni sul blog potrebbero non rispettare la cadenza settimanale data all'inizio di questa avventura. Me ne scuso, ma al contempo sono sereno:  come ho avuto modo di sottolineare negli ultimi interventi con parole d'altri e mie, scrivere meno può portare a scrivere meglio. Può, inoltre, lasciare maggior spazio alla riflessione personale, e magari anche a qualche passeggiata in più. Vi ringrazio come sempre per l'attenzione e vi saluto,
MS