domenica 13 aprile 2014

Quando il pensiero si piega all'ideologia

Ho terminato alcuni giorni fa la lettura di un testo uscito da poco in Italia, un saggio che, non appena l'avevo scorto in libreria, mi aveva subito incuriosito: I filosofi di Hitler, di Yvonne Sherratt. L'autrice, docente a Oxford, dimostrava un buon curriculum. Ma è stato il tema a farmi acquistare il libro: la filosofia utilizzata dall'ideologia nazista, da Hitler e gregari in primo luogo, ma anche da quanti si prestarono a sostenere il movimento nazista. Nella presentazione che compare sul risvolto di copertina si trova infatti scritto:
<<Nel corso della storia l’infamia ha assunto molte forme, nessuna più spregevole, probabilmente, di quella incarnata dalla rispettabilità. È tuttavia con questa maschera che l’ideologia razzista e antisemita del nazismo poté imporsi, senza quasi trovare ostacoli, nelle università e nei centri di ricerca di tutta la Germania>>. 

Dietro la parvenza della rispettabilità, dietro il velo della filosofia (e anzi grazie ad essa) l'ideologia nazista si impose negli ambienti accademici tedeschi, coinvolgendo studenti e studiosi, in certi casi eminenti studiosi.
Nel testo si possono individuare tre parti: una iniziale, dedicata ai filosofi che il dittatore stesso sfruttò, spesso deformandone i contenuti, estrapolando a piacimento discorsi e concetti; una centrale, la quale analizza il contributo di alcuni filosofi celebri che aderirono alla causa nazista, collaborando attivamente col regime; una terza parte, che punta invece l'attenzione su quanti si opposero in diverse forme all'ideologia nazista e alla violenza che essa attuava anche nei confronti del mondo accademico. 
Il risultato è una tesi duplice: in primo luogo la filosofia si rivela, secondo l'autrice, tutt'altro che disciplina neutra o fuori dalla realtà. Il mondo del pensiero, anzi, si mostra a vario titolo fortemente legato alla concretezza e al contesto socio-politico; in secondo luogo Sherratt evidenzia come molti filosofi collusi col nazismo siano stati  riabilitati e vengano oggi studiati con interesse, trascurando troppo spesso il contesto storico in cui idee e concezioni furono formulate.
A leggere I filosofi di Hitler non mancano le sorprese. Solo un esempio, che particolarmente mi ha colpito: tra i grandi pensatori sfruttati da Hitler figurano non solo, come in effetti ci si potrebbe aspettare, Nietzsche o Hegel ma anche Immanuel Kant. Grazie al suo antisemitismo, di cui tra l'altro non fece mai mistero, il filosofo di Königsberg fu facilmente fagocitato all'interno dell'ideologia del dittatore tedesco.
Per quanto riguarda i filosofi che si prestarono a sostenere il nazismo, si parla dell'ideologo del partito, Alfred Rosenberg ma anche di nomi insigni della filosofia del Novecento quali Carl Schmitt, giurista e filosofo del dirirtto, e Martin Heidegger. Su quest'ultimo, in particolare, il giudizio di Sherratt appare assai duro. Analizzando con perizia dati e documenti, la studiosa mette in luce il contributo attivo del filosofo al nazionalsocialismo. Convinzione radicata o mero opportunismo? L'autrice se lo chiede, propone risposte, lasciando tuttavia al lettore l'ultima parola. 
Accanto a questi nomi, dicevo, compaiono quelli di quanti si opposero in varia misura al nazismo. In capitoli loro dedicati vengono raccontate le storie di Edmund Husserl, maestro di Heidegger da questi poi ripudiato, di Theodor Adorno, di Walter Benjamin, di Hannah Arendt, di Kurt Huber, filosofo e musicologo insigne, oggi dimenticato. Politicamente conservatore, Huber per tutti gli anni Trenta continuò ad insegnare, messo in disparte dai nazisti, non perseguitato, solo perché non accettava che le sue ricerche nel campo della musica popolare fossero utilizzate a scopo ideologico. Fu con la guerra che la sua opposizione divenne attiva. Impressionato dalle notizie di atrocità sempre più gravi che giungevano dal fronte orientale, Huber entrò nella Rosa Bianca. Arrestato, fu giustiziato nel luglio 1943.

I filosofi di Hitler doveva essere una lettura ricreativa. Invece si è rivelato per me un libro sconvolgente. Documentato quanto un saggio, è scritto con uno stile narrativo, coinvolgente e fortemente partecipato. Numerosi anche i documenti inseriti nella narrazione, vere e proprie finestre sui personaggi e sul periodo. L'autrice, con un'onestà intellettuale tipica degli studiosi anglosassoni e che spesso manca dalle nostre parti, non fa mistero delle proprie posizioni. Eppure non fa violenza al lettore, riesce a coinvolgerlo, a interrogarlo, a scuoterlo a volte, ma con partecipazione e ansia sincere. Un forte senso morale si respira tra le pagine de I filosofi di Hitler ed esplicito risulta anche il monito finale: è giusto studiare il pensiero di taluni ritenuti grandi della filosofia senza comprendere pienamente il contesto in cui vissero e operarono?

Parafrasando la presentazione sul risvolto di copertina, Yvonne Sheratt, restituendo il clima culturale e i retroscena politici degli anni più bui della nostra storia, ci rivela come grandi intelligenze possano cedere all'abiezione. Un monito a chi studia ma anche a chi vive nel presente.

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