In Grecia l'oblio e la dimenticanza erano rappresentati da un fiume, il Lete. Situato nel regno dei morti, con le sue acque offriva a chi vi si accostava la perdita della memoria dal proprio passato. Al Lete ho pensato quando, alcuni giorni fa, mi è giunta la notiza del corteo di estrema destra che ci sarebbe stato (e c'è stato, ieri pomeriggio) a Vicenza: in strada "contro le banche e l'immigrazione", come ho letto su un articolo on-line.
Ora, non voglio attuare discorsi sulla legittimità o meno di una
manifestazione neofascista a Vicenza, città decorata di due medaglie
d'oro al Valor Militare, di cui una per la Resistenza nel periodo
1943-1945; mi limito a condividere alcune riflessioni su temi a me cari quali memoria, responsabilità e futuro (parole che potrete ritrovare sin dai miei primi post). Ciò che mi ha infatti colpito, ancor più del gran parlare della cosa, è stato leggere l'articolo presente ieri sul sito del quotidiano della provincia. In esso, il tema più sentito suscitato dalla manifestazione (e contromanifestazione) era la rabbia e l'indignazione dei commercianti del centro storico, penalizzati nel primo fine settimana di acquisti natalizi. Non una parola all'Anpi o ad altre associazioni partigiane impegnate nella trasmissione della memoria storica.
I tempi sono duri e, come avrebbe detto Cicerone, ciascuno pro domo sua. Fatto sta che, come spesso mi accade, non ho potuto fare a meno di gettare ponti tra argomenti diversi, luoghi diversi, tempi diversi. Esattamente settant'anni fa, 1 dicembre 1943, Concetto Marchesi, insigne latinista e, dall'estate del '43, Rettore dell'Università di Padova, diffondeva il suo celeberrimo appello agli studenti. Con esso invitava ciascuno a resistere all'occupante e ai suoi sgherri repubblichini. Lo condivido con voi, amici lettori, non perché tutti si debba avere le stesse opinioni o idee, bensì perché solo attraverso la memoria viva, accompagnata da una sua corretta interpretazione, possiamo mantenere i sensi fini ed evitare l'indistinta marea di quanti, per ingnoranza o presunzione, gridano odio e violenza, oppure, ascoltantodo ciò, si voltano cinicamente dall'altra parte.
Studenti dell’Università di Padova! Sono
rimasto a capo della vostra Università finché speravo di mantenerla
immune dall'offesa fascista e dalla minaccia germanica; fino a che
speravo di difendervi da servitù politiche e militari e di proteggere
con la mia fede pubblicamente professata la vostra fede costretta al
silenzio e al segreto. Tale proposito mi ha fatto resistere, contro il
malessere che sempre più mi invadeva nel restare a un posto che ai
lontani e agli estranei poteva apparire di pacifica convivenza mentre
era un posto di ininterrotto combattimento.
Oggi il dovere mi chiama altrove. Oggi non è più possibile sperare che l'Università resti asilo indisturbato di libere coscienze operose, mentre lo straniero preme alle porte dei nostri istituti e l'ordine di un governo che - per la defezione di un vecchio complice - ardisce chiamarsi repubblicano vorrebbe convertire la gioventù universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri massacratori. Nel giorno inaugurale dell'anno accademico avete veduto un manipolo di questi sciagurati, violatori dell'Aula Magna, travolti sotto la immensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno. Ed io, o giovani studenti, ho atteso questo giorno in cui avreste riconsacrato il vostro tempio per più di vent'anni profanato; e benedico il destino di avermi dato la gioia di una così solenne comunione con l'anima vostra. Ma quelli, che per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hanno tramutato in vanteria la disfatta e nei loro annunci mendaci hanno soffocato il vostro grido e si sono appropriata la vostra parola. Studenti: non posso lasciare l'ufficio del Rettore dell'Università di Padova senza rivolgervi un ultimo appello. Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c'è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c'è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina. Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l'oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l'Italia dalla schiavitù e dall'ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.
Oggi il dovere mi chiama altrove. Oggi non è più possibile sperare che l'Università resti asilo indisturbato di libere coscienze operose, mentre lo straniero preme alle porte dei nostri istituti e l'ordine di un governo che - per la defezione di un vecchio complice - ardisce chiamarsi repubblicano vorrebbe convertire la gioventù universitaria in una milizia di mercenari e di sgherri massacratori. Nel giorno inaugurale dell'anno accademico avete veduto un manipolo di questi sciagurati, violatori dell'Aula Magna, travolti sotto la immensa ondata del vostro irrefrenabile sdegno. Ed io, o giovani studenti, ho atteso questo giorno in cui avreste riconsacrato il vostro tempio per più di vent'anni profanato; e benedico il destino di avermi dato la gioia di una così solenne comunione con l'anima vostra. Ma quelli, che per un ventennio hanno vilipeso ogni onorevole cosa e mentito e calunniato, hanno tramutato in vanteria la disfatta e nei loro annunci mendaci hanno soffocato il vostro grido e si sono appropriata la vostra parola. Studenti: non posso lasciare l'ufficio del Rettore dell'Università di Padova senza rivolgervi un ultimo appello. Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall'ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c'è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c'è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina. Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l'oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l'Italia dalla schiavitù e dall'ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.
Concetto Marchesi
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