domenica 17 novembre 2013

Da Fozio a Hrabal: libri scritti, libri che scrivono (e salvano)

La riflessione di oggi mi viene da un breve dialogo scambiato con un amico e collega tra gli scaffali della biblioteca di greco, a Padova, qualche giorno fa. Gli chiedevo spiegazione di un curioso post da lui pubblicato su facebook: "L'uomo ha creato i libri a sua immagine" diceva, e proseguiva con un'affermazione che mi era parsa provocatoria, una sorta di sententia: "Siamo libri". Mi ha detto che l'ispirazione gli era venuta da Fozio, nome noto agli antichisti ma che dice poco o nulla ai più.
  
Fozio era uno che amava i libri. Patriarca di Costantinopoli per due volte, e per due volte deposto, visse nel IX secolo, in un periodo particolarmente burrascoso in cui la Chiesa ortodossa si scontrava con quella cattolica romana a colpi di concili e reciproche scomuniche, sancendo a poco a poco una divisione che, nonostante i cambiamenti seguiti al Concilio Vaticano II, perdura tuttora. Ma non è per questi motivi che Fozio viene ricordato (e celebrato) da chi studia il mondo antico, bensì per aver redatto un'opera, la Biblioteca, che ha permesso di trasmettere, almeno in parte, molti testi altrimenti irrimediabilmente perduti. Fozio legge gli Antichi, e di quanto legge dà conto: riassume (nel gergo del settore "epitoma"), commenta, ma soprattutto salva testi dal Lete, il fiume che per gli Antichi rappresentava l'oblio. La sua, chiaro, è una scelta personale, come accadrebbe se ciascuno di noi desse conto delle proprie letture e ne fornisse estratti, riassunti, commenti. 

Fozio dunque con la sua opera ha salvato una notevole quantità di libri. Ma non solo, li ha riscritti "a sua immagine" e al contempo da essi è stato, per così dire, scritto. L'idea, non lo nascondo, mi ha suscitato una certa emozione. Noi creiamo i libri ma, al contempo essi creano noi, ci cambiano, si trasfondono in chi legge. Non è certo un'affermazione straordinaria: ciascuno potrà riconoscerne la verità e verificare nella storia, anche personale, casi più o meno eclatanti di libri che cambiano chi li legge. Ma mi è sembrato interessante darne nota, anche alla luce di una recente lettura. Citavo nel penultimo post un libro dello scrittore ceco Bohumil Hrabal, acquistato per quasi nulla in un mercatino; il libro s'intitola Una solitudine troppo rumorosa. Ebbene in esso, un racconto lungo scritto con un linguaggio poetico e, insieme, con uno stile denso, vicino al flusso di coscienza, una delle idee chiave è esattamente la stessa. Il protagonista è un operaio che da trentacinque anni lavora ad una pressa tritacarta. Trita e schiaccia ogni tipo di carta tra cui, inevitabilmente, moltissimi libri. Ed a contatto con questi libri Hanta, così si chiama il protagonista, si avvicina alla lettura e agli autori che i libri li hanno scritti, al loro pensiero, soprattutto alle loro parole. Legge Hanta, fino a divenire suo malgrado istruito. Col suo operare non salva la cultura o la storia, sostiene il curatore dell'edizione che ho (Einaudi, 1991), se non nel fatto di ricreare a sua volta. Ma, oserei aggiungere, oltre a ciò e prima di ricreare Hanta assume, succhia dai libri. Se non salva, tuttavia si salva.
 
«Contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiasi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari» (p. 3). 

Chissà quanti altri paralleli si potrebbero creare a partire da questa suggestione:  libri scritti ma anche libri che scrivono; libri salvati ma, anche, libri che salvano. Non proseguo oltre e lascio ciascuno i collegamenti che potranno sorgergli.

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