Gli amici lo sanno, ho una grande passione per i libri; non solo per la letteratura contenuta nei libri, anche per l'oggetto libro in sé. Sì, chiamiamola pure bibliofilia: non ai livelli estremi di facoltosi cacciatori perennemente alla ricerca di prime edizioni o libri rari, diciamo che mi piace esercitare l'arte ottimamente espressa dal verbo vicentino "rumare" (come tradurlo?) e, ogni tanto, portare a casa, possibilmente per pochi denari, qualche bel volume (e magari anche più di uno) da mercatini o negozi dell'usato. Oltretutto, coi tempi che corrono e visti i prezzi di un'edizione fresca di stampa, spesso conviene assai andarsene a rovistare tra i banchi polverosi di un venditore o tra gli scaffali di un rigattiere.
È legato a questa passione un fatto accadutomi più di una volta ma sul quale, prima di qualche giorno fa, non avevo avuto modo di riflettere. Riassumerò il tutto, dunque, a partire da quanto mi è accaduto questa settimana. Giovedì, se non ricordo male, mi sono recato in una delle botteghe di cui sopra, un negozio nel quale spesso mi è capitato di fare buoni affari. Sono entrato e, come ogni altra volta, mi sono diretto al reparto libri.
È legato a questa passione un fatto accadutomi più di una volta ma sul quale, prima di qualche giorno fa, non avevo avuto modo di riflettere. Riassumerò il tutto, dunque, a partire da quanto mi è accaduto questa settimana. Giovedì, se non ricordo male, mi sono recato in una delle botteghe di cui sopra, un negozio nel quale spesso mi è capitato di fare buoni affari. Sono entrato e, come ogni altra volta, mi sono diretto al reparto libri.
Per i primi minuti nulla di entusiasmante: quasi solamente letteratura commerciale, grandi libri (in fatto di dimensioni) dei decenni passati e ormai dimenticati, "mattoni" americani o simili, romanzi buoni, per riprendere una frase di Antonio Tabucchi, da viaggio aereo lungo: si arriva in Thailandia e poi si buttano via; guardando bene, qua e là appariva qualche pepita, classici in edizioni più o meno di pregio. Ho recuperato una raccolta di racconti di Pirandello, la prima delle Novelle per un anno, un celebre romanzo di Hrabal e un'edizione recente de I sommersi e i salvati di Primo Levi. Poi lo sguardo, alzatosi, ha incontrato l'inconfondibile sagoma di quattro Meridiani Mondadori. Erano posati sopra una mensola piuttosto alta, soli. Mi sono avvicinato e non senza emozione ho letto i nomi sul dorso: due Romano (Lalla), un Papini (Giovanni), un James (Henry). Tutti praticamente nuovi. Ma l'emozione si è trasformata in sorpresa e poi in sgomento quando, alla base del dorso, ho notato la tipica etichetta di classificazione delle biblioteche (la classica Dewey) con tanto di nome della biblioteca di appartenenza. Ne ho acquistati tre, gli italiani, pagandoli due Euro a volume. Sì, avete letto bene, due Euro.
Ora, la riflessione che vorrei proporvi è questa: come mai una biblioteca decide di scartare (tutti i volumi erano regolarmente cancellati dall'inventario tramite apposito timbro) quattro Meridiani nuovi, tra cui tre dedicati ad autori italiani non certo minori nella letteratura del nostro paese? Qualche tempo fa avevo acquistato per un solo Euro le Istmiche di Pindaro, sempre scarto di biblioteca. Passi dunque per un Pindaro con testo greco a fronte, ma quattro Meridiani!
Ho azzardato tra me una risposta, ripensando alle dichiarazioni rilasciate alcuni anni fa dal direttore di una delle più importanti biblioteche della provincia. Il Nostro sosteneva che le biblioteche locali, non essendo biblioteche di conservazione, sono tenute a tenere solo i testi che vengono richiesti. A decidere sono i gusti del pubblico, ciò che non si legge (o non viene richiesto) si butta. Dunque immagino cosa possa essere accaduto coi quattro Meridiani in questione. Riconosco che molti altri possono essere i fattori che concorrono a decretare l'eliminazione di un libro, tra cui il sempre menzionato spazio che manca, e credo che sicuramente altre copie dei testi scartati saranno disponibili nel sistema bibliotecario provinciale, tuttavia confesso che l'idea alla base di questo agire mi inquieta, e molto. L'istituzione abdica al senso di responsabilità, il pubblico decide, i gusti impongono...
Risultato: la letteratura come la classifica del campionato. Chi viene retrocesso finisce buttato via. Se questa è davvero la logica, quanto ci vorrà prima che nelle nostre biblioteche si trovino solo romanzi "da viaggio aereo lungo"?
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