domenica 26 gennaio 2014

Per una memoria che sia accertamento della verità: L'istruttoria di Peter Weiss

Nei giorni scorsi mi sono trovato a rispondere via mail ad un amico e lettore. Aveva letto I sommersi e i salvati, ultima opera di Primo Levi, un  libro straordinario e terribile allo stesso tempo, rimanendone turbato. Mi sottoponeva così alcune questioni inerenti alla sua percezione del testo e, più in generale, alla Shoah. La sua era una lettera autentica, le cui parole e domande sorgevano sincere. Ad essa ho cercato di rispondere il più lucidamente possibile, da buon lettore dell'opera di Primo Levi. 
Sulla scia degli argomenti di cui abbiamo discusso e in occasione del Giorno della Memoria 2014 vorrei continuare questo dialogo proponendo a tutti voi, amici lettori, la lettura di un libro che sono tornato a rileggere proprio grazie alla lettera ricevuta. 

Peter Weiss (1916-1982)
Mi riferisco a L'istruttoria di Peter Weiss, pubblicata nel 1965 in Germania e l'anno dopo in Italia. Il titolo italiano non rende quanto l'originale tedesco, Die Ermittlung, che al significato giuridico unisce quello di "accertamento della verità/indagine". L'autore, Peter Weiss (1916-1982), fu scrittore e drammaturgo tedesco, ebreo per parte di padre. Nel 1934, dopo l'ascesa di Hitler, la famiglia si spostò in vari paesi europei finché nel 1939 si trasferì stabilmente in Svezia, scampando così alla barbarie nazista. 
Che opera è L'istruttoria? In apparenza sembra difficile definirla e inserirla in un determinato genere letterario: poesia, teatro, saggio, cronaca... Può in effetti essere tutte queste cose insieme. Essa è un'opera di montaggio e il sottotitolo Oratorio in undici canti ci suggerisce tanto l'immagine musicale dell'oratorio quanto quella poetica dei canti danteschi (e anche ne L'istruttoria ogni canto è dedicato ad un argomento particolare). Weiss per scriverla non inventò nulla, montò solamente in forma poetica i protocolli del processo, svoltosi tra il 1963 e il 1965 a Francoforte sul Meno, contro un gruppo di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz. Non aggiunse niente, nemmeno la punteggiatura, si limitò a disporre in versi le domande dell'accusa e le risposte degli imputati e dei testimoni. La Memoria è qui, come ho scritto sopra, accertamento di verità.

E la realtà che emerge è agghiacciante. Ciò che a mio avviso più colpisce, più ancora delle inaudite atrocità perpetrate nel campo e della mancanza di umanità, è la deresponsabilizzazione (il celebre "ho solo obbedito agli ordini"), la mancanza totale di discernimento da parte degli ex carnefici. Il male si configura così, ancora una volta, di assurda banalità, per usare l'espressione di Hannah Arendt. Accanto a ciò, Weiss riesce a farci riflettere non solo sul passato ma anche sul presente. Tolta la divisa, gli aguzzini sono tornati alle loro case e hanno indossato altri panni, spesso hanno fatto carriera, sono diventati (o tornati) cittadini più che rispettabili. Insomma, non solo gli spettri del passato, ma, ancor più, quelli del presente emergono nei versi scarni de L'istruttoria.

A fianco degli accusati, un vario numero di "testimoni": non vittime, non ex internati, ma persone che collaboravano in diversa misura col Lager, che vedevano cosa accadeva ma preferirono far finta di non vedere. Tutti, persecutori e complici, appaiono perfetti uomini medi, tutt'al più gretti e piccoli, come l'Heichmann ritratto dalla Harendt e il cui processo si era svolto solo un paio d'anni prima.

Non voglio proporre brani dal libro. Invito voi, amici lettori, ad approfondire per conto vostro in occasione del Giorno della Memoria di quest'anno. Termino con la solita provocazione, stavolta riportando le parole del traduttore e curatore dell'edizione italiana de L'istruttoria, Giorgio Zampa. Perché ricordare non basta se non coltiviamo ogni giorno il senso critico.

Reticenza, malafede, menzogna, viltà, cinismo, ottusità, sono caratteri dei despoti, dei boia, dei carcerieri di un tempo; la lezione che si ricava dal loro atteggiamento, certo favorito dall'indulgenza, dall'acquiescienza, quando non dall'appoggio attivo della società in cui oggi vivono, è in un certo senso, forse, più drammatica di quella derivante dall'evocazione del passato. Non sono parole, quando si dice che Auschwitz continua ancora dentro e intorno a noi.



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