domenica 6 ottobre 2013

Letteratura e attualità

A cosa serve oggi la letteratura?  Può, specie quella antica, comunicarci qualcosa che ci aiuti a sciogliere, almeno in parte, il groviglio di realtà in cui siamo quotidianamente immersi? Sulla morte del ruolo dell'intellettuale tanto l'accademia quanto la società sembrano ormai definitivamente d'accordo. Sono lontani anni luce i tempi in cui un Calvino o un Pasolini, un Fortini o una Morante commentavano un fatto di cronaca dalle pagine di quotidiani nazionali. Eppure, forse, se l'intellettuale è stato ridotto al silenzio, la letteratura può ancora dirci qualcosa...

Riflettevo su questa "eterna" questione venerdì mattina, mentre assistevo ad una conferenza sul concetto di spazio nell'Eneide: interessante rilettura del poema virgiliano a partire dalle coordinate spaziali. Il professore, accademico oxoniense, era allegro e sorrideva mentre citava, uno dopo l'altro, i passi notevoli dell'opera in cui compaiono riferimenti allo spazio: un lungo elenco, ben documentato, quanto mai preciso, esposto in un  italiano molto british ma corretto. Il pubblico, almeno quello intervenuto al termine della conferenza, ha mostrato di apprezare. 
La tematica spaziale era esposta attraverso due nuclei narrativi: il personaggio di Turno, re dei Rutuli, il nemico giurato di Enea dopo che questi è sbarcato in Lazio, e il mare, l'infinito mare che fa da cornice alla prima metà del poema, quella ispirata all'Odissea omerica, e che pure rappresenta un nemico per i Troiani in fuga dalla loro patria in fiamme. 

Col mare gli Antichi non avevano un buon rapporto: attraverso il mare avvenne la colonizzazione fenicia, quindi quella greca, per mare e anche per il mare si scontrarono Roma e Cartagine nelle guerre dette 'puniche'. Eppure esso era guardato con sospetto e timore da quanti dovevano attraversarlo. Privo della sicurezza e della fertilità offerte dalla terraferma, rappresentava per chiunque vi si avventurasse una dimensione instabile, infida, pronta a trasportare uomini e merci ma altrettanto ad inghiottire e sommergere senza pietà. Già nell'Odissea, opera che assieme all'Iliade fonda la letteratura greca e, insieme, occidentale, il mare è definito, tra l'altro, 'infecondo/sterile' (libroV, v. 84). 
Virgilio riprende nell'Eneide le immagini omeriche rinnovandole e arricchendole di nuovi significati. Palinuro, il nocchiero di Enea che non vedrà mai la "terra promessa" e che dal mare finirà inghiottito, così risponde al Sonno che lo tenta mentre è al timone:

Vuoi forse ch'io non conosca la placida apparenza
e i calmi flutti del mare? vuoi che confidi in questo mostro?
Affiderei (lo credi?) Enea alla frode dei venti,
io, sorpreso e ingannato troppe volte dal cielo sereno?
(V 848 e ss. traduzione italiana di Mario Ramous)

Il mare è infido, pronto ad ingannare. Tanto esso rappresenta una dimensione diversa dal mondo conosciuto che non di rado viene dipinto come indistinto rispetto al cielo, fuso anzi insieme ad esso in un nulla che inghiotte ogni speranza. Al libro terzo, v. 192 e ss., viene descritta una tempesta che prima si avvicina e poi si scatena. Le nubi si addensano, scompare la visione sicura della terraferma, caelum undique et undique pontus, cielo duvunque e dovunque mare. Nulla si distingue più. Non resta che sperare, mentre si vaga senza meta e sotto un cielo sine sidere, senza stelle.

Numerosi sono i passi in cui ancora troviamo descrizioni del mare e di come esso viene visto dagli uomini, desiderosi o costretti per necessità ad attraversarlo. A leggere i poemi antichi comprendiamo quanto davvero il Mediterraneo sia sempre stato, nonostante il timore e  la diffidenza nei suoi riguardi, il 'mare che sta in mezzo alle terre', mare "autostrada", mare che unisce. Per secoli. Attraversando il Mediterraneo Enea, profugo da Troia, riesce infine a raggiungere le coste del Lazio. Lui, clandestino e fuggiasco del mito, costretto a lasciare la propria città in fiamme portando sulle spalle il vecchio padre Anchise. Lui, che per sette anni vaga con uomini, donne e bambini «di stagione in stagione, mentre sull'immensità del mare» insegue, travolto dai marosi, l'Italia che sfugge (libro V, versi 626 e ss.) ci fa pensare ad altri tempi ma a situazioni non diverse. 

Lungi dal cercare facili risposte, consapevole, assieme al Franco Fortini della poesia Lontano lontano, che «sotto il peso dei corpi riversi» non possiamo mettere un «fitto volume di versi», posso tuttavia azzardare che la letteratura ha ancora qualcosa da dire. Pacatamente, in mezzo a gente che grida, può aiutarci a leggere la realtà, a reggere la corsa, a non sottrarre lo sguardo dai mostri imbalsamati od oscenamente vivi che ci circondano.


 





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