domenica 2 novembre 2014

Fra il bandolo e il dubbio in (buona) compagnia di due poeti

Questo è soprattutto un blog di riflessioni sui libri e sulla letteratura. Tuttavia, come sanno i miei lettori, a volte mi piace cercare (e creare) punti di contatto e cortocircuiti tra le parole scritte e le parole di quella che chiamiamo realtà, convinto che non di mondi separati si tratti ma solamente di facce diverse di un'unica esperienza.
Questa settimana ho dunque provato, nonostante il poco tempo a disposizione per riflettere, a trovare nei libri una risposta ai tanti quesiti che dalla cronaca, nazionale ed internazionale, mi sorgevano, ai dubbi, alle incertezze: proteste che finiscono sotto i manganelli, sentenze che lasciano interdetti, riunioni politiche e dichiarazioni in rima; e poi l'Ebola, la questione in Medio Oriente, l'Europa, la Russia di Putin, la Pedemontana che passerà sotto il mio colle...
Lo so, mi si potrebbe facilmente chiedere perché me la prenda tanto. Non si tratta in fondo sempre delle solite cose? Non siamo forse oberati di notizie più o meno catastrofiche in ogni momento? Annuisco e chino la fronte. A volte però capita, per citare Camus, <<che la scena si sfasci>> (cf. Le muraglie assurde ne Il mito di Sisifo), che, senza bisogno di evocare visioni apocalittiche e crisi insuperabili, si senta la necessità di trovare un minimo di ordine in tutto il caos che ci circonda.

<<Come trovare il bandolo in un gomitolo tanto aggrovigliato?>> mi sono chiesto ieri, mentre aiutavo mio padre a raccogliere le poche olive che l'annata cattiva ha concesso. D'impulso sono corso agli studi fatti, ai libri letti; d'impulso ho cercato una risposta. Il vento e il rumore delle mani tra le fronde, accompagnati dal volo di un pettirosso, mi hanno presto distratto dal mio intento. Sono tornato a pensarci più tardi. Eppure, pur non avendo distrazioni, non ho trovato risposte. Forse la stanchezza, forse lo stress...

Forse è inutile cercare nei libri una risposta. Possiamo raggranellare spunti, esempi, dati, indurci a porre, a porci altre domande. A volte possiamo, incerti, proporre uno schema che, dopo cinque minuti, saprà già di vecchio e sarà da buttare. Così, non ne usciamo, lo so. E laggiù continuano a parlare e parlare, a fare ciò che hanno sempre fatto, incuranti della nostra presenza. Ma allora a che serve? Sposto il baricentro. Mi aggrappo alla convinzione che interrogarsi sia comunque giusto. Per noi, per me. Per restare a galla. Ripenso ad una mia insegnante del liceo che un giorno ci stupì, adolescenti alle prese col nostro piccolo mondo, esclamando con occhi quasi sbarrati le seguenti parole: - Mio compito, ragazzi, non è darvi certezze ma seminare dubbi!
Ripenso ad allora e mi domando se si possa ancora coltivare un po' di sano dubbio in mezzo a tanti che strillano ai quattro venti le loro verità. Giro a voi la domanda e propongo due testi di poeti a me cari che sono andato a riscoprire ieri sera.

Il dubbio è uno dei punti fondamentali del percorso poetico e filosofico di Giacomo Leopardi, che così scriveva il giorno 8 settembre 1821 nel suo Zibaldone:  <<Il mio sistema introduce non solo uno scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana, per qualsivoglia progresso possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero, e si dimostra che la nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero [...] ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere>>.
 
Con gioia ho ritrovato queste parole nel film Il giovane favoloso di Mario Martone, che pure non mi ha entusiasmato ma sul quale non mi soffermerò oggi. L'altro testo che propongo è una poesia di Bertolt Brecht nella classica traduzione di Franco Fortini. Non mi dilungo a introdurla. Dico soltanto che mi ha confortato quel richiamo all'azione presente verso la fine. Chi tra voi non fosse riuscito, come non c'è riuscito il sottoscritto, a risolvere questa impasse del dubbio, potrà almeno dire (ancora una volta) di essere in buona compagnia. E magari, tra un dubbio e l'altro, a nutrire un pur timido barlume di speranza.
 

Colui che dubita

Sempre, ogni volta che
ci pareva di aver trovato la risposta a un problema,
uno di noi scioglieva, sulla parete, il nastro dell'antico
rotolo cinese sì che svolgesse e
visibile apparisse l'Uomo Seduto che                                               
tanto dubitava.

Io, ci diceva,
sono Colui che dubita. Dubito che
sia riuscito il lavoro che v'ha inghiottiti i giorni.
Che, quel che avete detto, se detto peggio valga tuttavia                   
                                         per qualcuno.
Che lo abbiate detto bene e che forse un po' troppo
vi siate, alla verità di quanto avete detto, affidati.
Che sia ambiguo: per ogni possibile errore
vostra sarebbe la colpa. Può anche essere troppo univoco               
e allontanar dalle cose la contraddizione; non è troppo univoco?
Allora quel che dite è inutilizzabile. Le cose vostre sono
                                       inanimate, allora.
Siete realmente nel corso degli eventi? Compresi con tutto
quel che diviene? Siete ancora in divenire, voi? Chi siete? A chi           
parlate? A chi serve quel che state dicendo?
E, fra parentesi:
vi lascia sobri? Si può leggerlo di mattina?
È anche congiunto al presente? Le tesi
davanti a voi enunciate son messe a profitto o almeno con-               
                                          futate? Tutto
è documentabile?
Per esperienza? Di chi?
Ma prima di tutto
e sempre, e ancora prima d'ogni cosa: come si agisce                       
se si crede a quel che dite? Prima di tutto: come si agisce?

Pensierosi noi si considerava con curiosità
l'uomo Turchino dubitare dal quadro, ci si guardava e
da capo si ricominciava.

Bertolt Brecht, Poesie e canzoni, Einaudi, Torino 1959, pp. 200-201.




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