domenica 9 marzo 2014

Grande bellezza, piccole bellezze

Negli ultimi giorni, l'assegnazione (più che meritata) dell'Oscar a La grande bellezza ha suscitato un vivacissimo dibattito sulla realtà che la pellicola di Sorrentino descrive. Premesso che, imminente la discussione della tesi, non ho potuto seguire se non "di striscio" gli interventi, ho avuto tuttavia la percezione che non di rado i commentatori si siano soffermati con eccessiva enfasi sulla bruttezza presente nella storia: una società in decadenza, frivola, vacua, morente. Non voglio entrare nello specifico, ma credo che alla lunga guardare troppo a quell'aspetto risulti fuorviante. Certo, ne La grande bellezza la bruttezza imperversa, sovrana, volgare, impietosamente descritta, ma è proprio grazie ad essa che emergono sprazzi inaspettati di bellezza vera, pura: persino, direi, sovrumana. Ed è questa bellezza, inseguita con foga in gioventù, che il protagonista torna continuamente a rivederee che, nonostante tutto (o forse proprio a causa di tutto), egli decide di inseguire ancora una volta tornando alla fine a scrivere.

Come il silenzio si nota maggiormente se ci troviamo circondati dal rumore, la bellezza si nota in mezzo alla bruttezza. Di essa, anzi, sentiamo un bisogno quasi assoluto proprio in tali frangenti. Sarebbe facile a questo punto riprendere la frase pronunciata dal principe Miškin ne L'idiota di Dostoevskij. Sarebbe facile e banale. Così condivido con voi, amici lettori, una poesia di un autore meno noto e celebrato, una poesia che canta la bellezza delle cose piccole, insignificanti, e che di tale bellezza sottolinea la fagilità e insieme il carattere effimero.

Trilussa è stato un grande poeta di fine Ottocento-inizio Novecento: scrisse i suoi versi in romanesco, proseguendo la tradizione illustre di Giuseppe Gioacchino Belli. Osservatore disincantato e ironico della società del tempo e, com'è proprio degli autori satirici, moralista autentico, spesso utilizzò la forma fiabesca nelle sue composizioni. Più di qualcuno in effetti l'ha accostato ai moralisti antichi, al greco Esopo e al suo corrsipettivo latino, Fedro. La poesia che vi propongo può essere collocata tra le fiabe in versi. S'intitola Bolla di sapone ed è pubblicata in Libro n. 9.


BOLLA DI SAPONE

Lo sai ched'è la Bolla de Sapone?
l'astuccio trasparente d'un sospiro.
Uscita da la canna vola in giro,
sballottolata senza direzzione,
pe' fasse cunnalà come se sia
dall'aria stessa che la porta via.

Una farfalla bianca, un certo giorno,
ner vede quela palla cristallina
che rispecchiava come una vetrina
tutta la robba che ciaveva intorno,
j'agnede incontro e la chiamò: - Sorella,
fammete rimirà! Quanto sei bella!

Er celo, er mare, l'arberi, li fiori
pare che t'accompagnino ner volo:
e mentre rubbi, in un momento solo,
tutte le luci e tutti li colori,
te godi er monno e te ne vai tranquilla
ner sole che sbrilluccica e sfavilla.-

La bolla de Sapone je rispose:
- So' bella, sì, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte de le cose,
sta chiusa in una goccia... Tutto quanto
finisce in una lagrima de pianto.

Nessun commento:

Posta un commento