Ieri, una lunga conversazione con un amico mi ha portato a riscoprire un'opera cui sono particolarmente legato. Si discuteva, in certi istanti anche animatamente, di impegno civile e politico ma, soprattutto, di lettura e interpretazione della realtà. L'amico sosteneva l'inevitabilità della semplificazione, necessaria per comprendere; io, pur riconoscendo la bontà dell'intenzione, mi mostravo più cauto: "Il mondo è complesso - dicevo - e la complessità va affrontata".
All'amico riconoscevo la bontà dell'intenzione; in effetti, semplificare fa parte di noi: il bianco o il nero, il buono o il cattivo, il bello o il brutto sono categorie che utilizziamo quotidianamente. Tuttavia, a frenarmi c'era, tra l'altro, quanto appreso da un libro a me molto caro, libro letto più volte e che come nessun altro ha affrontato la complessa e spinosa questione delle sfumature, della "zona grigia". Mi riferisco a I sommersi e i salvati, opera ultima, quasi un testamento, di Primo Levi. Apparso nel 1986, I sommersi e i salvati è un testo tanto limpido e cristallino per stile quanto intenso per contenuti e partecipazione personale. Con esso Levi torna, quarant'anni dopo Se questo è un uomo, sul tema che rappresentò il fulcro della sua vita, quell'incontro con Medusa, parafrasando una sua stessa poesia, che non lo lasciò impietrito.
Nel testo c'è un capitolo dedicato ad una categoria intermedia tra quella di 'sommerso' e di 'salvato', già precedentemente trattate in un capitolo di Se questo è un uomo: la categoria è appunto quella della zona grigia e per Levi identificava la sfera complessa della collaborazione coi nazisti.
Divenuta oggi di uso comune (e come tale spesso anche banalizzata), se riletta nel giusto contesto e attraverso le parole di colui che per primo la utilizzò, tale categoria può dirci ancora molto.
È quanto vorrei proporvi oggi, con la citazione che segue. Scrive infatti Levi:
Segue una limpida riflessione sull'innata tendenza manichea di ciascuno, tendenza che, coinvolgendo aspetti della vita quotidiana come una partita di calcio, di baseball, di pugilato, finisce per propagarsi ad una certa visione della storia. Quindi, giunge la riflessione finale di Levi:
«Ciò che comunemente intendiamo per "comprendere" coincide con "semplificare": senza una profonda semplificazione, il mondo intorno a noi sarebbe un groviglio infinito e indefinito, che sfiderebbe la nostra capacità di orientarci e di decidere le nostre azioni. Siamo insomma costretti a ridurre il conoscibile a schema: a questo scopo tendono i mirabili strumenti che ci siamo costruiti nel corso dell'evoluzione e che sono specifici del genere umano, il linguaggio e il pensiero concettuale». (p.24)
«Questo desiderio di semplificazione è giustificato, la semplificazione non sempre lo è. È un'ipotesi di lavoro, utile in quanto sia riconosciuta come tale e non scambiata per la realtà; la maggior parte dei fenomeni storici e naturali non sono semplici, o non semplici della semplicità che piacerebbe a noi» (p.25).Con questa riflessione vi lascio.
Estote parati!
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