Questa mattina in località Vigo, piccola frazione sulle colline di Sovizzo (Vi), si è svolta la cerimonia, semplice ma come sempre partecipata, di commemorazione di tre partigiani caduti il 30 settembre 1944: Gelsomino Camerra "Diavolo", Danilo Ceretta "Anibo" e Ottorino Xotta "Romeo-Tevere". Erano presenti cinque amici partigiani, tra cui la staffetta Wally. Quale membro dell'Anpi di Montecchio Maggiore, che da quasi vent'anni anni organizza la cerimonia, mi era stato chiesto di curare l'orazione.
Particolare della cerimonia 2012 |
Era la prima volta che prendevo la parola in un'occasione ufficiale. Grande era dunque l'emozione, unita alla responsabilità, verso i presenti ma, soprattutto, verso i caduti: tre partigiani valorosi e, insieme, tre giovani che quando trovarono la morte avevano rispettivamente 24, 19 e 18 anni.
Condivido di seguito l'ultima parte del mio intervento, in cui ho cercato di attualizzare il messaggio che questi tre ragazzi, uniti ai moltissimi altri che combatterono nella guerra di Liberazione, ci hanno lasciato. Perché ricordare non serve se non facciamo nostro il lascito di quanti hanno lottato e pagato il prezzo più alto per la libertà, la democrazia, la giustizia e la pace. Come ha detto la partigiana francese Lucie Aubrac, «il verbo 'resistere' deve sempre coniugarsi al presente».
«Dunque,
cosa possono dire a noi, oggi, Gelsomino, Danilo e Ottorino? Cosa possono dire
a ciascuno di noi e in particolare alla mia generazione, in questo periodo
difficile, di crisi sociale e dei valori prima ancora che economica?
Come
molti che presero parte alla Resistenza, erano giovanissimi, eppure non esitarono
a mettere le loro vite a servizio di un ideale di giustizia, libertà,
democrazia e pace che il fascismo aveva negato. Tutti loro erano cresciuti
sotto il regime, per cui nessuna istituzione pubblica aveva insegnato loro
quale strada intraprendere. Eppure, a prezzo di alti rischi personali, di
sofferenze e di privazioni, sentirono che era necessario costruire un paese
nuovo, libero, giusto e democratico: per tutti, anche per coloro che
combattevano invece per negare questi valori e perpetuare un ordine fondato
sull’odio, sulla violenza e su veementi quanto assurde ideologie di
prevaricazione e dominio.
Nonostante
la giovane età, questi ragazzi dimostrarono una maturità, e una responsabilità
che davvero possono dirci molto. Il loro sacrificio, come quello dei tanti
caduti nella guerra di Liberazione, non può quindi cadere nell’oblio. La
responsabilità ora è nostra, di ciascuno di noi, e dei giovani come me in
particolare. Nostro il compito di perpetuare la memoria di questi coetanei di
settant’anni fa e dei valori che la Resistenza ha contribuito ad affermare.
In
questo difficile frangente, mentre, complice la crisi economica, vediamo
rimesse in discussione conquiste irrinunciabili in campo civile e sociale,
mentre vediamo pericolosamente risorgere ideologie estremiste, razziste,
xenofobe e avverse ai principi di democrazia, uguaglianza e giustizia, dobbiamo
ribadire quanto la Resistenza ci ha dato in lascito, quei valori sanciti dalla nostra
Costituzione nata dalla Resistenza.
A
dispetto di quanto sostenuto da alcune voci, l’Italia non è un paese in
macerie, né tantomeno un paese da distruggere, come recita una battuta di un
celebre film uscito alcuni anni fa. L’Italia è semmai un paese da ricostruire,
ma da ricostruire a partire proprio dai principi e valori sanciti dalla Carta
costituzionale, principi e valori ancora troppo poco noti, vissuti e applicati
ad ogni livello della vita civile. Principi e valori che, se finalmente vissuti
e applicati, ci permetteranno di guardare al futuro senza dimenticare il
passato e, soprattutto, dimostrando responsabilità e dignità verso coloro che
hanno dato la vita per essi».