Ormai, amici lettori, lo sapete: la memoria è uno dei temi che più mi sono cari. Non semplice ricordo, la memoria è conoscenza del passato ma, ancor più, consapevolezza dei passi compiuti, a livello personale e collettivo; memoria è senso della storia e, come tale, non può divenire ancoraggio nostalgico al passato, ma deve essere sentita come vivo stimolo a comprendere l'uomo e a costruire con responsabilità e coerenza il futuro. Un anniversario, una data possono dunque offrirci molto se sappiamo leggerne in profondità i contenuti. A partire da una ricorrenza è possibile sviluppare una riflessione. E riflettere non è mai male, specie nell'oggi dei clic e dei "mi piace".
Per quanto mi riguarda, giugno è un mese ricco di memorie. Oggi vorrei in particolare soffermarmi su due figure, due uomini che hanno scritto libri <<non inutili>>, per usare un'espressione che Primo Levi dedicò ad uno di essi. Entrambi scrittori vicentini, seppur assai diversi per stile e contenuti delle loro opere, hanno lasciato un segno nella vita civile e nella letteratura italiana. Due autori che, senza retorica, considero maestri di vita e di scrittura: mi riferisco a Mario Rigoni Stern e Luigi Meneghello.
Perché ricordarli assieme? Tanto l'uno quanto l'altro se ne sono andati un giorno di giugno, Meneghello il 26 giugno 2007, Rigoni Stern il 16 giugno del 2008. Pensando ad un testo che potesse in qualche modo accomunarli sono stato, per così dire, soccorso da un altro anniversario che proprio in questo mese si sta celebrando a Malo, paese natale di Meneghello, ovvero il cinquantesimo anno dalla pubblicazione de I piccoli maestri, il libro, con Libera nos a malo, per cui Meneghello è forse maggiormente conosciuto.
Testo discusso, che suscitò non poche polemiche al momento della pubblicazione, I piccoli maestri narra l'esperienza resistenziale dell'autore, secondo la sua visione e secondo il suo stile. Scrive a tal proposito Meneghello nella Nota introduttiva alla seconda edizione (1976): <<I piccoli maestri è stato scritto con un esplicito proposito civile e culturale: volevo esprimere un modo di vedere la Resistenza assai diverso da quello divulgato, e cioè in chiave anti-retorica e anti-eroica. Sono convinto che solo così si può rendere piena giustizia agli aspetti più originali e più interessanti di ciò che è accaduto in quegli anni>>.
Mentre dunque scorrevo il calendario degli eventi organizzati a Malo, gentilmente inviatomi da un amico (tra i vari siti che vi hanno dato spazio, potete farvi un'idea qui), mi è tornata in mente la figura del partigiano Moretto, personaggio che getta un ponte a livello storico e letterario fra Meneghello e Rigoni Stern. Se la morte del Moretto viene infatti accennata ne I piccoli maestri, in un suggestivo racconto di Rigoni Stern, Un ragazzo delle nostre contrade, contenuto in Ritorno sul Don (1973), troviamo una descrizione accurata della sua storia, compreso quanto accadde dopo la guerra.
Rinaldo Rigoni "Moretto" era originario di Asiago. Lavorava alla latteria sociale: <<suo mestiere - scrive Rigoni Stern all'inizio del suo racconto - era quello di passare a raccogliere il latte nelle stalle sparse per le contrade e portarlo al caseificio sociale>>. Renitente ai bandi di arruolamento della R.S.I, nella primavera del 1944 entrò a far parte dei "piccoli maestri" o "banda del Toni". La guidava Toni Giuriolo, il maestro di Meneghello. Come gli altri gruppi partigiani che operavano sull'Altopiano, anche quello di Giuriolo dovette affrontare l'imponente rastrellamento nazifascista del 5-8 giugno 1944. Fu durante gli scontri che il Moretto incontrò la morte, lo stesso 5 giugno 1944, precipitato dai Castelloni di San Marco, sul margine nord-orientale dell'altopiano.
Dopo la guerra, Rigoni Stern, rientrato dalla prigionia, fece parte del gruppo che recuperò il corpo del Moretto e di altri partigiani caduti come lui in quella località. Ed è da questo spunto autobiografico che il racconto Un ragazzo delle nostre contrade si snoda, fino a restituire un'immagine limpida, semplice, priva di fronzoli ma che sa al contempo aprirsi a suggestivi spunti lirici, com'è proprio dello stile di Rigoni Stern. Ne risulta il ritratto di un giovane come tanti, bello e vero. Il finale del racconto è poi commovente. In uno stile assai diverso da quello di Meneghello ma, in un certo senso, complementare ad esso, la figura del Moretto parla a noi oggi e fa rivivere, attraverso la scrittura, tutto il dramma della storia di settant'anni fa.
Un "romanzo" e un racconto, dunque, per conoscere o riscoprire una medesima figura; un modo, inoltre, per tornare a rileggere due autori che ancora oggi molto possono dirci.
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