Qualche tempo fa, in occasione della Fiera del libro per ragazzi di Bologna, pubblicai alcune riflessioni sulla letteratura odierna e sulle fiere letterarie, attingendo da un agile pubblicazione di Giulio Ferroni, Scritture a perdere (Laterza, 2010). Il testo si apriva con una descrizione ben poco lusinghiera del Salone internazionale del libro di Torino.
Ebbene, amici lettori, da giovedì 8 a sabato 10 maggio p.v. sarò anch'io nella "bolgia infernale" della fiera. Ci sarò per presentare L'eco delle battaglie, giovedì, e per incontrare i miei giovani lettori venerdì e sabato. Voi sapete che non ritengo le fiere un luogo per parlare a fondo di libri e letteratura, e sapete anche che non ritengo gli incontri con gli autori, né da lettore né da autore, fondamentali per comprendere le parole scritte. Il miglior modo per comprendere la letteratura, i libri e coloro che li scrivono è sempre (e solo, vorrei aggiungere) quello di sedersi in tranquillità e leggere. Il resto, spesso, è solo fumo negli occhi.
Tuttavia non voglio apparire il solito pessimista. Come ho scritto alcune settimane fa, la fiera può essere anche l'occasione per un confronto umano vivo e arricchente. Questo l'augurio che faccio a me e a quanti di voi, amici lettori, parteciparanno all'appuntamento di Torino. A tal proposito, sapendo che a nessuno è dato di possedere la verità, vi raccomando il solito atteggiamento filologico vigile e silenzioso, questa volta con una riflessione sulla scrittura lasciataci da un vero poeta del silenzio.
David Maria Turoldo (1916-1992) è uno dei poeti di ispirazione religiosa che più spesso mi trovo a rileggere. "Coscienza inquieta della Chiesa", così viene a volte ricordato per le sue battaglie all'interno del Cattolicesimo. Egli fu in effetti uomo di Resistenza, non solo durante la guerra, sempre. E pagò per le sue scelte. Nella sua poesia vive l'ansia di una fede mai scontata, in cui anche il silenzio ritorna sovente, sia esso il silenzio della ricerca, della memoria, della preghiera e della riflessione, sia esso il silenzio angosciante di un Cielo che non vuole rispondere al grido dell'uomo. In tutto questo la scrittura ha un ruolo di primo piano.
Scrive Turoldo nel suo ultimo libro: <<Scrivere è confessarsi, è donarsi; scrivere è liberarsi. Io non posso non scrivere. Anche se a leggere quanto è già stato scritto, di ben pochi, di pochissimi si potrà dire: ecco, costui ha scritto una verità che non era mai stata detta da alcuno. Ma ciò che importa, nello scrivere, non è questo. Scrivere è intingere la penna nel proprio sangue per dire a te stesso ciò che Lui, l'Amico, ha pensato di te, ciò che egli ha fatto e continua a fare di te>> (Il dramma è Dio, Bur, 1996, p.14). Possiamo leggere le parole di Turoldo con la fede, come del resto egli ce le presenta. Ma possiamo anche, e non nego di preferirlo, intenderle laicamente: la scrittura come strumento e via di ricerca, come ricerca del silenzio, senza vincoli e senza pregiudizi. Cercare e resistere. Nella certezza che ad ogni passo, dialogando, confrontandoci, soppesando, sbagliando, riordinando, possiamo imparare.
Buona fiera, dunque.
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