domenica 31 gennaio 2021

La memoria che ritorna: "1945" di Ferenc Török

Come ogni anno la ricorrenza del Giorno della Memoria ha fatto sì, e giustamente, che in rete e in televisione vi fossero molteplici occasioni di conoscenza e commemorazione. Attenzione però: in tutto questo c’è anche un rischio, ben evidenziato da Daniele Lo Vetere nella sua recensione al libro di Valentina Pisanty I guardiani della memoria (su www.laletteraturaenoi.it), quello di cadere in una memoria vuota, stereotipata, decontestualizzata e destoricizzata. Condita di immagini “pop” (solo per citarne alcune, il treno, la bambina vestita di rosso di Schindler’s list, la torre di controllo di Birkenau), la nostra memoria rischia di scivolare in un circuito di rappresentazione che si autoalimenta e che ci coinvolge nella sfera estetico-emotiva senza interrogarci nel profondo.

Oltre a certi documentari mal costruiti, soprattutto i film contribuiscono a fissare immagini stereotipate nel nostro immaginario, sia i grandi film, corretti storicamente, come il già citato Schindler’s list, sia film profondamente sbagliati come Il bambino con il pigiama a righe, il quale, assieme a incredibili errori storici, confonde e sbaglia del tutto la prospettiva, anche didattica, con cui affrontare il tema complesso delle persecuzioni e della Shoah.

Questo non accade a volte con film minori o i quali, anziché concentrarsi sugli aspetti più violenti e brutali, analizzano sfumature o momenti, oppure indagano le multiformi manifestazioni della memoria, il rapporto delle comunità con essa, le rimozioni e le riscoperte.  Per questo, fra i film disponibili online, mi sento di consigliare 1945, pellicola del 2017 visibile gratuitamente su Rai Play (www.raipaly.it). A mio parere, un piccolo capolavoro.

Diretto dal regista ungherese Ferenc Török (classe 1971), il film è ambientato in un remoto paesino magiaro. Qui, in un afoso giorno di agosto del 1945, due ebrei ortodossi, padre e figlio, giungono portando due pesanti bauli. L’arrivo dei due turba l’apparente pace di una comunità che si prepara a celebrare il matrimonio del figlio del notaio locale e costringe gli abitanti, nonostante le resistenze, a ritornare all’oscuro passato recente. Cosa vogliono quei due? Perché sono arrivati?

La verità che un po’ alla volta emerge è che diversi personaggi, fra cui lo stesso notaio e il parroco del paese, sono direttamente implicati nella denuncia, seguita dalla deportazione, dei loro compaesani ebrei. Ma attorno a loro si muove una galassia grigia di conniventi che, per interesse o per paura o per indifferenza, hanno finto di non vedere. Il quadro di complicità che emerge capovolgerà completamente la superficiale serenità del paese, già intaccata del resto da crepe interne (i due sposi non si amano) ed esterne (l’incombente regime sovietico): la festa si muterà in tragedia e alla fine i fantasmi del passato si manifesteranno in tutta la loro evidenza.

1945 è un film ricco di simboli: le due misteriose casse che i due uomini portano con loro, ciò che ne faranno, ma anche il loro incedere lento, l’arrivo al villaggio e i due elementi, fuoco e acqua, che suggellano il finale, la nube di fumo nero che si alza in una della ultime scene. Realtà storica e rappresentazione simbolica scandiscono dunque i momenti della vicenda, evocando, alludendo, ma lasciando allo spettatore il compito di ricostruire i tasselli di un passato che sempre si affaccia. L'operazione è resa ancor più forte dal sapiente uso del bianco e nero, che pure Spielberg aveva a suo tempo scelto per rappresentare un evento che definiva «vita senza luce».

Un fotogramma del film
Il ritmo, inizialmente lento, procede sempre più incalzante a mano a mano che la rimozione cede di fronte al pressante ritorno della memoria: finché, inesorabile, la catastrofe suggella il ritorno del passato, secondo una struttura che ricalca quella della tragedia classica, con perfetta rispondenza delle unità antiche.

Il finale, nonostante il male che riemerge, rimane sospeso e interroga lo spettatore: si conclude un giorno che ha cambiato la vita dell’intera comunità, costretta a fare i conti col proprio passato, e nulla potrà più procedere come prima. La storia, dopo la Shoah, non può più essere la stessa. Allo stesso modo, senza memoria - una memoria realmente ancorata alla storia - una comunità non può reggersi. 

domenica 24 gennaio 2021

Libri da leggere: "Si fa presto a dire fame"

<<Poi non udimmo che urli frenetici e spari al di là del muro. E all’alba delle due mattine successive fu una continua processione di monatti che entravano dalla porta di ferro e passavano dinanzi al nostro blocco con i barelloni vuoti, per ripassare poi con tristissimi carichi. Erano ancora corpi umani quelli che vidi in quei barelloni? Sembravano scheletri indossanti una pelle livida, sbranata, uncinata, lacerata, forata dai proiettili, chiazzata di sangue che non sembrava più sangue tanto era pallido. Nel groviglio delle membra le teste riverse avevano aspetti infernali. Guancie (sic) scarnificate, occhi vitrei spalancati quando gli occhi ancora c’erano, bocche sfondate, crani aperti. Nessuna cosa al mondo potrà mai farmi dimenticare quella sintesi di tutta la possibilità di strazio delle creature umane.
Capii allora veramente che cosa era Mauthausen>>.

Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Edizioni Avanti!, Milano-Roma 1954, pp. 140-141.

 

Piero Caleffi, nato a Suzzara nel 1901 e morto a Roma nel 1978, fu dirigente socialista e, durante la guerra, partigiano e dirigente del Partito d’Azione. Arrestato più volte prima della guerra, nel 1944 viene di nuovo catturato e spedito dapprima al campo di transito di Bolzano-Gries e quindi a Mauthausen. Dopo la guerra Caleffi sarà giornalista e verrà eletto in Senato per il PSI per più mandati. Sarà anche presidente dell’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati). Si fa presto a dire fame esce in prima edizione nel 1954 e sarà poi ripubblicato più volte divenendo una lettura imprescindibile fra i libri di memorie sull'internamento nei campi nazisti. L’episodio a cui si fa riferimento nel passo riportato è l’evasione di massa dal terribile blocco 20 di Mauthausen, la notte sul 1 febbraio 1945.