lunedì 9 luglio 2018

Commemorando i sette martiri di Valdagno, domenica 8 luglio 2018

Cari lettori,
riporto di seguito il testo dell'orazione che a nome dell'ANPI ho pronunciato ieri, nel corso della commemorazione dei sette martiri di Valdagno, fucilati dai nazifascisti il 3 luglio 1944.



Commemorazione dei sette martiri
Valdagno, domenica 8 luglio 2018


Signor vicesindaco, autorità civili e militari, cittadine e cittadini: porgo a voi il mio saluto personale e dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che ho l’onore di rappresentare. Ringrazio in particolare la sezione di Valdagno per l’invito offertomi a commemorare con voi i “sette martiri” di una città a cui sono molto legato, città che tanto ha dato alla Resistenza e che per la Resistenza è stata decorata di Medaglia d’Argento al V.M. Saluto anche con particolare affetto i famigliari dei martiri e la staffetta partigiana Teresa Peghin Wally.
Commemorare è una parola importante, significa fare memoria assieme. È un gesto profondamente umano e denso di significato, che ci unisce nella consapevolezza di quanto è qui accaduto settantaquattro anni fa per ricordare ma anche per attualizzarne il messaggio. Un’altra parola altrettanto importante che ci unisce oggi è ‘martire’, che in origine, nell’antica Grecia, significava ‘testimone’. Col Cristianesimo il suo significato si trasformò in parte, assumendo il significato di fedele che, consapevole di perdere la vita, non accetta tuttavia di rinnegare la propria fede. Diviene perciò testimone per gli altri di ciò in cui crede. Con questo significato la parola ‘martire’ è giunta fino a noi, abbracciando ancora l’ambito civile oltre che religioso, rappresentando chi lotta fino alle estreme conseguenze per un ideale umano, di libertà, di giustizia, di democrazia e di pace. Per questo siamo qui oggi a fare memoria insieme, a commemorare, appunto, questi sette uomini, fucilati dai nazifascisti il 3 luglio 1944.

Essi erano Ferruccio Baù, valdagnese, classe 1908, di professione commerciante, noto come antifascista dal 25 luglio 1943, quando aveva gettato dal balcone del municipio la foto di Mussolini, deposto e arrestato poche ore prima;
Virgilio Cenzi, classe 1896, militante comunista e sostenitore del movimento partigiano, di professione falegname alla manifattura della Marzotto”;
Antonio Bietolini, classe 1900, meccanico, militante comunista di lungo corso. Arrestato più volte nel corso del ventennio, aveva trascorso sette anni di Confino alle isole Tremiti. Dal 13 febbraio 1944 era stato incaricato di dirigere la federazione vicentina del Pci in sostituzione dello scledense On. Domenico Marchioro e agiva sotto il falso nome di Bruno Morassuti;
Alfeo Guadagnin, classe 1899, socialista bassanese di lunga militanza, di professione noleggiatore d’auto, presente a Valdagno per incontrarsi con l’amico Ferruccio Baù;
Marino Ceccon, classe 1912, comunista, operaio agli stabilimenti “Marzotto”;
Francesco Rilievo, classe 1919, operaio alla “Marzotto”, privo di legami con l’attività clandestina, arrestato semplicemente perché cognato di Giovanni Zordan;
Pasquale Giovanni Zordan, “Nani Sette”, classe 1908, comunista, attivista nella fabbrica “Marzotto”.
Il loro arresto e la loro fucilazione avvennero in una fase drammatica della Guerra di Liberazione per Valdagno e per l’intera vallata. Come hanno ormai chiarito studi recenti [mi riferisco in particolare ai saggi pubblicati sull’argomento dal prof. Maurizio Dal Lago] questi sette martiri, a cui doveva aggiungersi Raffaele Preto, di 24 anni, calzolaio, membro della Resistenza, che riuscì invece a scampare alla fucilazione attraverso una fortunosa fuga, furono uccisi perché antifascisti nel corso di una rappresaglia che aveva il duplice scopo di colpire l’attività clandestina e terrorizzare la popolazione.

Nessuno dei sette uomini fucilati il 3 luglio 1944 era coinvolto con l’attacco partigiano, avvenuto il 30 giugno precedente fra le località Canova e Ghisa di Montecchio Maggiore e costato la vita a due soldati tedeschi, che fu addotto dai nazifascisti a motivo della feroce rappresaglia. Fu per essi un’occasione per mostrare ancora una volta la forza e la brutalità a cui poteva giungere la repressione ad azioni della Resistenza, un’occasione che si sommava a quanto avvenuto poche settimane prima, l’11 giugno, in contrada Borga, quando, a fronte dell’uccisione di un soldato tedesco, diciassette uomini innocenti erano stati massacrati, le case bruciate, terrorizzata la popolazione.
Ma il terrore non si fermò nemmeno a seguito dell’uccisione dei sette martiri: proseguì nei giorni seguenti con un rastrellamento nella zona fra Castelvecchio e Marana che portò alla morte di diversi civili e alla distruzione di numerose contrade accusate di aver dato «alloggio, vitto e la possibilità di deposito per armi e munizioni ai Ribelli». La Valle del Chiampo sarebbe poi stata colpita da un nuovo rastrellamento dal 9 al 15 luglio e, dopo l’estate, rinnovata strage avrebbe colpito questa città, con il rastrellamento di Piana, costato la vita, nel solo giorno 9 settembre, a 61 uomini, 20 civili e 41 partigiani.

Ecco dunque il nostro fare memoria, un’azione profonda e viva, che si volge al passato per vivere con consapevolezza il presente, un’azione che oggi è più necessaria che mai. Viviamo infatti in un’epoca di grande confusione, che spesso sfocia nel pressappochismo, nella faciloneria condita da slogan e frasi fatte, quando non, addirittura, nell’ignoranza esibita e rivendicata. Quella che doveva essere l’epoca dell’informazione per tutti, attraverso internet, del superamento delle ideologie, si sta rivelando come l’epoca della paura, dell’intolleranza e del ritorno di mostri che si pensava di aver sconfitto: il nazionalismo, il razzismo, il nazifascismo. E tutto ciò si fa strada nell’ignoranza, nel vuoto delle relazioni e delle discussioni reali, nella mancata conoscenza dei fatti storici e nella mancata trasmissione della memoria.

Se pochi mesi fa si poteva ancora affermare che il fascismo stava rialzando la testa, oggi purtroppo dobbiamo constatare che esso è presente e vivo: non solo il fascismo nostalgico di chi, senza conoscere quanto è avvenuto, difende ed osanna il ventennio mussoliniano, iniziato nella violenza e nella violenza finito nel modo più tragico, ma anche, soprattutto, è presente un fascismo nuovo, fomentato dalla crisi economica e morale degli ultimi anni, cresciuto tanto con la cattiva politica quanto con il qualunquismo e con gli slogan, reso forte e dilagato attraverso la paura, spesso strumentalizzata ad arte, del diverso e dello straniero, attraverso il razzismo, l’insicurezza e, ancor più, la percezione di insicurezza, l’intolleranza, l’inasprimento del conflitto sociale. In un paese, l’Italia, in cui il fascismo storico è stato sconfitto militarmente ma mai culturalmente, in cui, come ha dichiarato Carlo Smuraglia, presidente nazionale emerito dell’ANPI, «è mancato un ragionamento rigoroso su cosa è stato il fascismo, cosa ha rappresentato e come è stato recepito dal popolo durante il ventennio», il nuovo fascismo si insinua e fa proseliti proponendo una politica forte, risoluta, “di un uomo solo al comando”, di “qualcuno che metta a posto le cose”. Utilizzando un lessico machista, gesti risoluti, distogliendo l’attenzione dai veri problemi per scatenarsi contro minoranze, il nuovo fascismo catalizza i sentimenti più oscuri e si radica nella perdita dei riferimenti storici e culturali più autentici.

A questo fascismo dobbiamo contrapporre l’interesse, la partecipazione, la conoscenza e la memoria. Nel frastuono dei social, delle frasi fatte urlate e facili da ripetere come automi è fondamentale conoscere, studiare, apprendere correttamente, accertare, documentarsi. Occorre studiare la storia della Resistenza, limpidamente, riconoscendo anche gli errori che possono essere stati commessi in singoli episodi o da singoli personaggi, ma riconoscendo al contempo l’impegno ideale che la animava e la contrapponeva radicalmente al nazifascismo. Da una parte, quella giusta, quella che scelsero i sette martiri, si combatteva infatti per la libertà, per la pace, per la giustizia; dall’altra si combatteva per un mondo di schiavi, un mondo fondato sul razzismo, sulla violenza come mezzo generalizzato di potere e di dominio, sull’eliminazione del diverso, dell’avversario politico, del nemico.

Tuttavia la sola storia può non bastare. Occorre infatti unire ad essa la memoria, la partecipazione emotiva e personale, attraverso le tante storie di chi allora disse “No” al nazifascismo, sia che abbia impugnato le armi, sia che abbia scelto altre forme di Resistenza, come la popolazione delle contrade, che aiutava e proteggeva i partigiani correndo rischi altissimi. Inoltre occorre accompagnare in questo i giovani, che più di altri sono oggi vulnerabili ai richiami allettanti del nuovo fascismo: dobbiamo tornare a fermarci davanti ai monumenti come quello in via Sette Martiri, tornare a leggere i nomi, riscoprire le storie di questi uomini e di queste donne che ebbero il coraggio di dire “No”. Non erano eroi, ma persone normali che tuttavia scelsero. E scelsero la parte giusta. Come ha detto Mario Rigoni Stern: «È molto più difficile dire no che sì». Da qui dobbiamo ripartire, cittadine e cittadini, per affermare oggi il nostro “no” al nuovo fascismo.

È una battaglia culturale che non possiamo permetterci di perdere. Riprendendo le parole di Smuraglia, occorre ribadire con fermezza che «il nostro è un Paese non solo democratico, ma anche antifascista». Lo afferma chiaramente la Costituzione repubblicana, dalla cui entrata in vigore ricorre quest’anno il settantesimo anniversario, negli articoli a tutela della libertà in tutte le sue forme, dell’uguaglianza, dei diritti fondamentali, della dignità, del diritto di asilo e di tutela dello straniero, tutto ciò che il fascismo aveva negato. Questo antifascismo della Costituzione, che dovrebbe permeare le istituzioni anche oggi, fu ribadito in sede di Assemblea Costituente da un giovane deputato, Aldo Moro, di cui abbiamo ricordato poche settimane fa il quarantesimo anniversario dalla tragica scomparsa. Disse Moro: «Non possiamo […] fare una costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni la coscienza e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella Resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale».

Cari cittadine e cittadini, i riferimenti storici e culturali non ci mancano. Consapevoli di quello che è stato, commemoriamo i nostri sette martiri e con essi tutti coloro che hanno lottato per darci oggi un’Italia libera, repubblicana, democratica, antifascista. Sentiamo in noi il compito di onorare la loro memoria con il nostro impegno oggi, sempre.
Viva la Resistenza, viva la Costituzione!

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