riporto di seguito il testo dell'orazione che a nome dell'ANPI ho pronunciato ieri, nel corso della commemorazione dei sette martiri di Valdagno, fucilati dai nazifascisti il 3 luglio 1944.
Commemorazione dei sette martiri
Valdagno, domenica 8 luglio 2018
Signor vicesindaco, autorità
civili e militari, cittadine e cittadini: porgo a voi il mio saluto personale e
dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che ho l’onore di rappresentare.
Ringrazio in particolare la sezione di Valdagno per l’invito offertomi a commemorare
con voi i “sette martiri” di una città a cui sono molto legato, città che tanto
ha dato alla Resistenza e che per la Resistenza è stata decorata di Medaglia
d’Argento al V.M. Saluto anche con particolare affetto i famigliari dei martiri
e la staffetta partigiana Teresa Peghin Wally.
Commemorare è una parola
importante, significa fare memoria
assieme. È un gesto profondamente umano e denso di significato, che ci unisce nella
consapevolezza di quanto è qui accaduto settantaquattro anni fa per ricordare
ma anche per attualizzarne il messaggio. Un’altra parola altrettanto importante
che ci unisce oggi è ‘martire’, che in origine, nell’antica Grecia, significava
‘testimone’. Col Cristianesimo il suo significato si trasformò in
parte, assumendo il significato di fedele che, consapevole di perdere la vita,
non accetta tuttavia di rinnegare la propria fede. Diviene perciò testimone per
gli altri di ciò in cui crede. Con questo significato la parola ‘martire’ è
giunta fino a noi, abbracciando ancora l’ambito civile oltre che religioso,
rappresentando chi lotta fino alle estreme conseguenze per un ideale umano, di
libertà, di giustizia, di democrazia e di pace. Per questo siamo qui oggi a
fare memoria insieme, a commemorare, appunto, questi sette uomini, fucilati dai
nazifascisti il 3 luglio 1944.
Essi erano Ferruccio Baù,
valdagnese, classe 1908, di professione commerciante, noto come antifascista
dal 25 luglio 1943, quando aveva gettato dal balcone del municipio la foto di
Mussolini, deposto e arrestato poche ore prima;
Virgilio Cenzi, classe 1896, militante
comunista e sostenitore del movimento partigiano, di professione falegname alla
manifattura della Marzotto”;
Antonio Bietolini, classe 1900, meccanico,
militante comunista di lungo corso. Arrestato più volte nel corso del
ventennio, aveva trascorso sette anni di Confino alle isole Tremiti. Dal 13
febbraio 1944 era stato incaricato di dirigere la federazione vicentina del Pci
in sostituzione dello scledense On. Domenico Marchioro e agiva sotto il falso
nome di Bruno Morassuti;
Alfeo Guadagnin, classe 1899,
socialista bassanese di lunga militanza, di professione noleggiatore d’auto, presente
a Valdagno per incontrarsi con l’amico Ferruccio Baù;
Marino Ceccon, classe 1912, comunista,
operaio agli stabilimenti “Marzotto”;
Francesco Rilievo, classe 1919,
operaio alla “Marzotto”, privo di legami con l’attività clandestina, arrestato semplicemente
perché cognato di Giovanni Zordan;
Pasquale Giovanni Zordan, “Nani
Sette”, classe 1908, comunista, attivista nella fabbrica “Marzotto”.
Il loro arresto e la loro
fucilazione avvennero in una fase drammatica della Guerra di Liberazione per
Valdagno e per l’intera vallata. Come hanno ormai chiarito studi recenti [mi
riferisco in particolare ai saggi pubblicati sull’argomento dal prof. Maurizio
Dal Lago] questi sette martiri, a cui doveva aggiungersi Raffaele Preto, di 24
anni, calzolaio, membro della Resistenza, che riuscì invece a scampare alla fucilazione
attraverso una fortunosa fuga, furono uccisi perché antifascisti nel corso di
una rappresaglia che aveva il duplice scopo di colpire l’attività clandestina e
terrorizzare la popolazione.
Nessuno dei sette uomini fucilati
il 3 luglio 1944 era coinvolto con l’attacco partigiano, avvenuto il 30 giugno
precedente fra le località Canova e Ghisa di Montecchio Maggiore e costato la
vita a due soldati tedeschi, che fu addotto dai nazifascisti a motivo della
feroce rappresaglia. Fu per essi un’occasione per mostrare ancora una volta la
forza e la brutalità a cui poteva giungere la repressione ad azioni della Resistenza,
un’occasione che si sommava a quanto avvenuto poche settimane prima, l’11
giugno, in contrada Borga, quando, a fronte dell’uccisione di un soldato
tedesco, diciassette uomini innocenti erano stati massacrati, le case bruciate,
terrorizzata la popolazione.
Ma il terrore non si fermò
nemmeno a seguito dell’uccisione dei sette martiri: proseguì nei giorni
seguenti con un rastrellamento nella zona fra Castelvecchio e Marana che portò
alla morte di diversi civili e alla distruzione di numerose contrade accusate
di aver dato «alloggio, vitto e la possibilità di
deposito per armi e munizioni ai Ribelli». La Valle del Chiampo sarebbe
poi stata colpita da un nuovo rastrellamento dal 9 al 15 luglio e, dopo
l’estate, rinnovata strage avrebbe colpito questa città, con il rastrellamento
di Piana, costato la vita, nel solo giorno 9 settembre, a 61 uomini, 20 civili
e 41 partigiani.
Ecco dunque il nostro fare memoria, un’azione profonda e viva,
che si volge al passato per vivere con consapevolezza il presente, un’azione
che oggi è più necessaria che mai. Viviamo infatti in un’epoca di grande
confusione, che spesso sfocia nel pressappochismo, nella faciloneria condita da
slogan e frasi fatte, quando non, addirittura, nell’ignoranza esibita e
rivendicata. Quella che doveva essere l’epoca dell’informazione per tutti,
attraverso internet, del superamento delle ideologie, si sta rivelando come
l’epoca della paura, dell’intolleranza e del ritorno di mostri che si pensava
di aver sconfitto: il nazionalismo, il razzismo, il nazifascismo. E tutto ciò
si fa strada nell’ignoranza, nel vuoto delle relazioni e delle discussioni
reali, nella mancata conoscenza dei fatti storici e nella mancata trasmissione
della memoria.
Se pochi mesi fa si poteva ancora
affermare che il fascismo stava rialzando la testa, oggi purtroppo dobbiamo
constatare che esso è presente e vivo: non solo il fascismo nostalgico di chi,
senza conoscere quanto è avvenuto, difende ed osanna il ventennio mussoliniano,
iniziato nella violenza e nella violenza finito nel modo più tragico, ma anche,
soprattutto, è presente un fascismo nuovo, fomentato dalla crisi economica e
morale degli ultimi anni, cresciuto tanto con la cattiva politica quanto con il
qualunquismo e con gli slogan, reso forte e dilagato attraverso la paura,
spesso strumentalizzata ad arte, del diverso e dello straniero, attraverso il
razzismo, l’insicurezza e, ancor più, la percezione di insicurezza,
l’intolleranza, l’inasprimento del conflitto sociale. In un paese, l’Italia, in
cui il fascismo storico è stato sconfitto militarmente ma mai culturalmente, in
cui, come ha dichiarato Carlo Smuraglia, presidente nazionale emerito
dell’ANPI, «è mancato un ragionamento rigoroso su
cosa è stato il fascismo, cosa ha rappresentato e come è stato recepito dal
popolo durante il ventennio», il nuovo fascismo si insinua e fa proseliti
proponendo una politica forte, risoluta, “di un uomo solo al comando”, di
“qualcuno che metta a posto le cose”. Utilizzando un lessico machista, gesti
risoluti, distogliendo l’attenzione dai veri problemi per scatenarsi contro
minoranze, il nuovo fascismo catalizza i sentimenti più oscuri e si radica
nella perdita dei riferimenti storici e culturali più autentici.
A
questo fascismo dobbiamo contrapporre l’interesse, la partecipazione, la
conoscenza e la memoria. Nel frastuono dei social, delle frasi fatte urlate e
facili da ripetere come automi è fondamentale conoscere, studiare,
apprendere correttamente, accertare, documentarsi. Occorre studiare la storia
della Resistenza, limpidamente, riconoscendo anche gli errori che possono
essere stati commessi in singoli episodi o da
singoli personaggi, ma riconoscendo al contempo l’impegno ideale che la animava
e la contrapponeva radicalmente al nazifascismo. Da una parte, quella giusta,
quella che scelsero i sette martiri, si combatteva infatti per la libertà, per
la pace, per la giustizia; dall’altra si combatteva per un mondo di schiavi, un
mondo fondato sul razzismo, sulla violenza come mezzo generalizzato di potere e
di dominio, sull’eliminazione del diverso, dell’avversario politico, del
nemico.
Tuttavia
la sola storia può non bastare. Occorre infatti unire ad essa la
memoria, la partecipazione emotiva e personale, attraverso le tante storie di
chi allora disse “No” al nazifascismo, sia che abbia impugnato le armi, sia che
abbia scelto altre forme di Resistenza, come la popolazione delle contrade, che
aiutava e proteggeva i partigiani correndo rischi altissimi. Inoltre occorre
accompagnare in questo i giovani, che più di altri sono oggi vulnerabili ai
richiami allettanti del nuovo fascismo: dobbiamo tornare a fermarci davanti ai
monumenti come quello in via Sette Martiri, tornare a leggere i nomi,
riscoprire le storie di questi uomini e di queste donne che ebbero il coraggio
di dire “No”. Non erano eroi, ma persone normali che tuttavia scelsero. E
scelsero la parte giusta. Come ha detto Mario Rigoni Stern: «È molto più difficile dire no che
sì». Da qui dobbiamo ripartire,
cittadine e cittadini, per affermare oggi il nostro “no” al nuovo fascismo.
È una battaglia culturale che non
possiamo permetterci di perdere. Riprendendo le parole di Smuraglia, occorre
ribadire con fermezza che «il nostro è un Paese
non solo democratico, ma anche antifascista».
Lo afferma chiaramente la Costituzione repubblicana, dalla cui entrata in
vigore ricorre quest’anno il settantesimo anniversario, negli articoli a tutela
della libertà in tutte le sue forme, dell’uguaglianza, dei diritti
fondamentali, della dignità, del diritto di asilo e di tutela dello straniero,
tutto ciò che il fascismo aveva negato. Questo antifascismo della Costituzione,
che dovrebbe permeare le istituzioni anche oggi, fu ribadito in sede di
Assemblea Costituente da un giovane deputato, Aldo Moro, di cui abbiamo
ricordato poche settimane fa il quarantesimo anniversario dalla tragica
scomparsa. Disse Moro: «Non possiamo […] fare
una costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato
nel nostro paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella
sua negatività ha travolto per anni la coscienza e le istituzioni. Non possiamo
dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella
Resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati
insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci
troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della
dignità umana e della vita sociale».
Cari cittadine e cittadini, i
riferimenti storici e culturali non ci mancano. Consapevoli di quello che è
stato, commemoriamo i nostri sette martiri e con essi tutti coloro che hanno
lottato per darci oggi un’Italia libera, repubblicana, democratica,
antifascista. Sentiamo in noi il compito di onorare la loro memoria con il
nostro impegno oggi, sempre.
Viva la Resistenza, viva la
Costituzione!
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