Don Sebastiano Sanna Carboni, alle nove in punto, come tutte le sere, spinse indietro la poltrona, piegò accuratamente il giornale che aveva letto fino all'ultima riga, riassettò le piccole cose sulla scrivania, e si apprestò a scendere al piano terreno, nella modesta stanza che era da pranzo, di soggiorno, di studio per la nidiata dei figli, ed era l'unica viva nella grande casa, anche perché l'unica riscaldata da un vecchio caminetto...
Da tempo non mi capitava di leggere un romanzo di ampio respiro, un testo di grande letteratura. L'esperienza è finalmente avvenuta con Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, libro di cui ho riportato l'incipit e del quale, ad essere sincero, fino a pochi mesi fa mai avevo sentito parlare. L'ho scoperto grazie alla splendida trasmissione di Radio 3 "Ad alta voce", in una suggestiva interpretazione di Toni Servillo che potete ascoltare cliccando qui.
Da tempo non mi capitava di leggere un romanzo di ampio respiro, un testo di grande letteratura. L'esperienza è finalmente avvenuta con Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, libro di cui ho riportato l'incipit e del quale, ad essere sincero, fino a pochi mesi fa mai avevo sentito parlare. L'ho scoperto grazie alla splendida trasmissione di Radio 3 "Ad alta voce", in una suggestiva interpretazione di Toni Servillo che potete ascoltare cliccando qui.
Salvatore Satta |
Il romanzo, fortemente autobiografico, è un viaggio nella memoria della Nuoro di fine Ottocento - inizio Novecento, la cittadina sarda in cui, come detto, l'autore nacque e dove trascorse la propria infanzia. Tuttavia l'autobiografia non può esaurire da sola il racconto, ne è certo la linfa e la radice ma c'è dell'altro: Il giorno del giudizio è un ritorno al mito, ad un mondo ancestrale segnato da regole proprie e scandito da un tempo che pare dilatarsi come la stessa narrazione, la quale procede vorticosa, per nuclei che si richiamano l'uno con l'altro. Non è un caso che il primo riferimento temporale preciso arrivi parecchio avanti, facendo irrompere con violenza nella piccola Nuoro il mondo di fuori: si tratta dell'assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914, l'anno della catastrofe europea.
La vicenda, che prende le mosse dal racconto della vita del notaio Don Sebastiano Sanna Carboni e della sua famiglia, si dilata progressivamente abbracciando la vita di decine di personaggi che, come rivela la voce narrante, ormai sono tutti uno a fianco all'altro, dimenticati nel cimitero della cittadina.
Il parallelo con l'Antologia di Spoon River viene spontaneo e in effetti molti commentatori del libro affiancano l'opera di satta a quella di Lee Masters. Tuttavia ciò che a mio avviso differenzia il romanzo dalla raccolta poetica è l'atteggiamento di fondo: lo sguardo che traspare dalla voce narrante nel Giorno del giudizio è pervaso da un senso di fine, di oblio, di morte che attraversa i personaggi anche quando sono apparentemente nel pieno della vita. Dal notaio Don Sebastiano agli avventori del caffè Tettamanzi, dai preti della cittadina, presi dalle beghe e dagli interessi, all'infelice Gonaria che vive solo per vedere il fratello nominato canonico, da Donna Vincenza, divorata dall'odio nei confronti del marito Don Sebastiano, al povero Pietro Catte, i personaggi del romanzo di Satta sono pervasi dal senso della fine, persi in un tempo mitico e circondati da un nulla che spesso si fa assordante ma al quale, per il fatto stesso di essere esistiti, non si può nemmeno prender parte completamente. Di qui il significato profondo che sta dietro al titolo e la dicitura di <<capolavoro della solitudine>> data all'opera da George Steiner.
In tutto ciò la scrittura sembra non avere, nelle intenzione del narratore, alcun potere salvifico. Così infatti comincia il capitolo V: <<Scrivo queste pagine che nessuno leggerà, perché spero di avere tanta lucidità da distruggerle prima della mia morte, nella loggetta della casa che mi sono costruito nei lunghi anni della mia laboriosa esistenza>>. Eppure l'autore Satta, dietro il nichilismo della voce narrante, scrive, rievoca, e lo fa con sofferenza, nonostante la sofferenza, scavando, riesumando un mondo ormai morto dal quale è partito ancora giovinetto ma che ha serbato dentro di sé.
Non voglio dilungarmi oltre. Concludo con due parole sulla scrittura: siamo di fronte ad un grande narratore, che sa mettere in campo uno stile denso, partecipato, a tratti addirittura visionario, uno stile che dipinge con tratti memorabili i personaggi e smuove ed emoziona il lettore fino a scuoterlo, che è stile nel senso vero.
Di fronte al piattume che spesso connota tanta scrittura odierna, Il giorno del giudizio è un libro dal sapore forte, da gustare fino in fondo come un cibo raro ormai scomparso.