domenica 22 novembre 2015

Dalla scuola (e dalla letteratura) un antidoto al fanatismo

La settimana appena trascorsa è stata per me, giovane insegnante, una delle più intense finora vissute, non tanto per il carico di lavoro o per gli impegni legati alla professione quanto per le sfide che in aula, fra le mie classi, ho dovuto sostenere. I fatti di Parigi, uniti alla generale esplosione di violenza che ha colpito il cuore dell'Europa ma che da tempo sta imperversando per il mondo, hanno segnato profondamente i miei studenti, come chiunque altro.
Lavoro in un Istituto comprensivo in cui sono presenti entrambi i rami della scuola secondaria e già sabato mattina, in una quarta superiore, i volti dei miei studenti mi interrogavano. 
- Lei, professore, come la pensa? Cosa farebbe ora?
Ammetto che rispondere non è stato facile, come non è stato facile soppesare le parole per offrire il più possibile chiarezza e onestà intellettuale e di coscienza. Ho cercato di ricostruire quanto avvenuto, pur con le informazioni incomplete che allora si avevano, di far ragionare. I miei studenti mi guardavano in cerca di risposte, la maggior parte delle quali impossibili da dare. Mi sono riservato di riprendere il discorso qualche giorno dopo. 

Lo stesso, a inizio settimana, è avvenuto anche alle medie. In un seconda ho utilizzato un'ora per parlare di quanto accaduto. E credo che mai un'ora di lezione sia stata spesa meglio. I ragazzi mi hanno rivolto un profluvio di domande. Hanno dodici anni ma vogliono capire. E con la freschezza che a questa età ancora si ha, a volte ti sorprendono per la gravità o la maturità delle parole che usano. 
Bombardare sì, bombardare no. Ma perché? E se muoiono innocenti? Ci sono o no innocenti fra i terroristi? E i bambini? Perché un bambino può diventare terrorista? Cos'è il fanatismo? Come viene insegnato? E ancora: se un bambino cresce nel fanatismo di chi è la colpa? Sua o di chi lo ha educato? L'uomo nasce cattivo o buono?
Abbiamo cercato di capire, ho spiegato il significato di qualche parola difficile o che tutti usiamo magari senza conoscerne l'origine, come 'kamikaze'. Ma sono stati i ragazzi ad insegnare a me. Si sono confrontati fra loro e col professore, hanno sostenuto le loro ragioni argomentando, hanno chiesto, insieme abbiamo cercato di trovare risposte almeno a qualcuna delle tante domande che tutti avevamo dentro. 
Alla fine dell'ora ho ribadito che discutere come abbiamo fatto è combattere, e con mezzi tra i più forti a disposizione dell'essere umano: con la volontà di conoscere, di informarsi, con la discussione pacifica e rispettosa attraverso il grande dono della parola, col confronto, con l'arricchimento reciproco, con la ragione e col cuore: si possono avere idee diverse, ma l'altro non è mai nemico. Non è questo un antidoto al fanatismo di qualunque tipo? Questa è la prima considerazione che volevo condividere.

Una seconda considerazione, legata strettamente alla prima, mi è sorta dopo una lezione su Dante tenuta in quarta superiore mercoledì: nessuna rivelazione per i colleghi che insegnano, ma vorrei comunque condividere quanto provato. Riprendevo il canto XXVI dell'Inferno, il canto di Ulisse, uno dei più noti e appassionanti dell'intera Commedia. Mentre spiegavo mi sono reso conto di quanto la letteratura possa aiutarci a promuovere il confronto e l'acquisizione di un pensiero che sia il più possibile maturo e critico.
Mi sono dunque permesso una confessione ai miei studenti, magari uscendo dall'interpretazione strettamente filologica del canto ma cercando di attualizzarne il messaggio. Nell'umanità del personaggio dantesco - ho detto - mi sembra di scorgere un messaggio che, personalmente, mi aiuta a non perdere l'orientamento in questi giorni bui. Ulisse, seppur punito da Dante, celebra al contempo quella sete di virtù e conoscenza che è propria dell'essere umano. Attraverso la parola l'eroe convince i compagni a seguirlo. La parola, non la violenza o la sopraffazione.
Dunque - ho concluso - in questi giorni mi ripeto di continuo le parole che Ulisse rivolge ai compagni, parole in cui è inscritta tutta l’umanità, unione di mente e di cuore, che mi sembra necessaria per affrontare momenti tanto incerti come quelli attuali: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza»






domenica 1 novembre 2015

Passato, futuro e silenzio di bosco

Mi piace l'autunno. La danza dei colori, il mescolarsi degli odori, le prime nebbie, l'aria che cambia e si prepara ad affrontare l'inverno, il silenzio operoso del bosco stimolano l'osservazione e la riflessione. <<Tante cose nel corso delle stagioni la natura può insegnare a chi osserva; ma è nell'autunno che il bosco si fa leggere con chiarezza>>. Così Mario Rigoni Stern in Stagioni, l'ultimo suo libro.

Questa mattina ho voluto celebrare a modo mio la festa di Ognissanti e uscire per una passeggiata lungo i fianchi del colle a nord ovest, in quella che qui chiamiamo Valbona. Da tempo desideravo osservare da vicino i progressi dello scempio che sta devastando la Valle dell'Agno, il cantiere della Superstrada (a pagamento) Pedemontana Veneta. Giusto un anno fa ne scrivevo (qui lo scritto) Oggi mi sono finalmente deciso.

Sono uscito a metà mattina. Con me solo la macchina fotografica; in testa i versi di Congedo, la poesia che Luigi Meneghello pone a sigillo del suo Pomo Pero e che già ebbi modo di condividere in queste pagine. Davvero strano come i versi imparati a memoria possano tornarci in mente e orientare il nostro sguardo sulla realtà...
 
Il piano inferiore del mondo
ha un orlo di monti celesti
ed è colmo di paesi.

Ecco il piano inferiore del mondo visto dalle colline di casa mia. Lo sguardo abbraccia l'orizzonte: ecco la valle dell'Agno, ecco laggiù la sagoma massiccia del Pasubio. Cento anni fa i paesani lo vedevano brillare di esplosioni: era la Grande Guerra...

Imbocco il sentiero che dal colle scende verso la Valbona. E subito mi imbatto nei segni del passato ormai preda del tempo. Tornano i versi di Congedo.

Smurata è la mura dell’orto
dilaniato il core...
 


Scendo attraverso gli antichi sentieri del colle. Intorno a me il bosco freme al tepore del sole. Ed è un gioco di luci e un rincorrersi di odori. <<Fuori dal tempo, fuori dal mondo, tutto [...] come mille anni fa e come forse tra mille anni ancora>>. Ancora Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve.
Infine, eccomi al piano. Qui è il mondo di cose nuove che si agita, freme, turbina, spazza via il vecchio.

Intorno si vede sorgere
un mondo di cose nuove,
questa roba si spazza via,
trionfa un rigoglio
banale e potente...

Ecco il progresso, il tristo (sic) <<progresso scorsoio>>, per citare le parole di un altro grande poeta di questa dimensione veneta, Andrea Zanzotto. Asfalto e cemento, come decenni fa. Così deve essere, così fa comodo a pochi e va bene a molti. Il resto tace.

Non è più una parodia.
È vero uso moderno,
i geometri se ne intendono
delle cose e dei loro nomi...

Proseguo. Il sentiero si fa stradina di campagna, poi strada comunale. E dietro una cortina di colori autunnali ecco di nuovo i tunnel che forano il colle a colpi di mina.

Arrivo fino al monumento ai partigiani. La colonnina è muta all'ombra del cipresso che la protegge. Le foto dei due ragazzi morti il 26 aprile 1945 voltano le spalle al mondo nuovo.


...mio piccolo popolo
forzato da un ramo villano
di storia italiana,
è una foto ricordo - sorridi.

Guardo quei volti, respiro piano. Quindi ritorno sui miei passi. Passato e futuro sono qui fianco a fianco. Entrambi orfani, entrambi soli.

Buona domenica, amici lettori.