La settimana appena trascorsa è stata per me, giovane insegnante, una delle più intense finora vissute, non tanto per il carico di lavoro o per gli impegni legati alla professione quanto per le sfide che in aula, fra le mie classi, ho dovuto sostenere. I fatti di Parigi, uniti alla generale esplosione di violenza che ha colpito il cuore dell'Europa ma che da tempo sta imperversando per il mondo, hanno segnato profondamente i miei studenti, come chiunque altro.
Lavoro in un Istituto comprensivo in cui sono presenti entrambi i rami della scuola
secondaria e già sabato mattina, in una quarta superiore, i volti dei
miei studenti mi interrogavano.
- Lei, professore, come la pensa? Cosa farebbe ora?
Ammetto che rispondere non è stato facile, come non è stato facile soppesare le parole per offrire il più possibile chiarezza e onestà intellettuale e di coscienza. Ho cercato di ricostruire quanto avvenuto, pur con le informazioni incomplete che allora si avevano, di far ragionare. I miei studenti mi guardavano in cerca di risposte, la maggior parte delle quali impossibili da dare. Mi sono riservato di riprendere il discorso qualche giorno dopo.
Lo stesso, a inizio settimana, è avvenuto anche alle medie. In un seconda ho utilizzato un'ora per parlare di quanto accaduto. E credo che mai un'ora di lezione sia stata spesa meglio. I ragazzi mi hanno rivolto un profluvio di domande. Hanno dodici anni ma vogliono capire. E con la freschezza che a questa età ancora si ha, a volte ti sorprendono per la gravità o la maturità delle parole che usano.
Bombardare sì, bombardare no. Ma perché? E se muoiono innocenti? Ci sono o no innocenti fra i terroristi? E i bambini? Perché un bambino può diventare terrorista? Cos'è il fanatismo? Come viene insegnato? E ancora: se un bambino cresce nel fanatismo di chi è la colpa? Sua o di chi lo ha educato? L'uomo nasce cattivo o buono?
Abbiamo cercato di capire, ho spiegato il significato di qualche parola difficile o che tutti usiamo magari senza conoscerne l'origine, come 'kamikaze'. Ma sono stati i ragazzi ad insegnare a me. Si sono confrontati fra loro e col professore, hanno sostenuto le loro ragioni argomentando, hanno chiesto, insieme abbiamo cercato di trovare risposte almeno a qualcuna delle tante domande che tutti avevamo dentro.
Alla fine dell'ora ho ribadito che discutere come abbiamo fatto è combattere, e con mezzi tra i più forti a disposizione dell'essere umano: con la volontà di conoscere, di informarsi, con la discussione pacifica e rispettosa attraverso il grande dono della parola, col confronto, con l'arricchimento reciproco, con la ragione e col cuore: si possono avere idee diverse, ma l'altro non è mai nemico. Non è questo un antidoto al fanatismo di qualunque tipo? Questa è la prima considerazione che volevo condividere.
Una seconda considerazione, legata strettamente alla prima, mi è sorta dopo una lezione su Dante tenuta in quarta superiore mercoledì: nessuna rivelazione per i colleghi che insegnano, ma vorrei comunque condividere quanto provato. Riprendevo il canto XXVI dell'Inferno, il canto di Ulisse, uno dei più noti e appassionanti dell'intera Commedia. Mentre spiegavo mi sono reso conto di quanto la letteratura possa aiutarci a promuovere il confronto e l'acquisizione di un pensiero che sia il più possibile maturo e critico.
Mi sono dunque permesso una confessione ai miei studenti, magari uscendo dall'interpretazione strettamente filologica del canto ma cercando di attualizzarne il messaggio. Nell'umanità del personaggio dantesco - ho detto - mi sembra di scorgere un messaggio che, personalmente, mi aiuta a non perdere l'orientamento in questi giorni bui. Ulisse, seppur punito da Dante, celebra al contempo quella sete di virtù e conoscenza che è propria dell'essere umano. Attraverso la parola l'eroe convince i compagni a seguirlo. La parola, non la violenza o la sopraffazione.
Dunque - ho concluso - in questi giorni mi ripeto di continuo le parole che Ulisse rivolge ai compagni, parole in cui è inscritta tutta l’umanità, unione di mente e di cuore, che mi sembra necessaria per affrontare momenti tanto incerti come quelli attuali: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza»
Mi sono dunque permesso una confessione ai miei studenti, magari uscendo dall'interpretazione strettamente filologica del canto ma cercando di attualizzarne il messaggio. Nell'umanità del personaggio dantesco - ho detto - mi sembra di scorgere un messaggio che, personalmente, mi aiuta a non perdere l'orientamento in questi giorni bui. Ulisse, seppur punito da Dante, celebra al contempo quella sete di virtù e conoscenza che è propria dell'essere umano. Attraverso la parola l'eroe convince i compagni a seguirlo. La parola, non la violenza o la sopraffazione.
Dunque - ho concluso - in questi giorni mi ripeto di continuo le parole che Ulisse rivolge ai compagni, parole in cui è inscritta tutta l’umanità, unione di mente e di cuore, che mi sembra necessaria per affrontare momenti tanto incerti come quelli attuali: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza»