domenica 8 marzo 2015

Donne

Amici lettori,
in occasione della festa dell'8 marzo, unendo, come si suol dire, l'utile al dilettevole, propongo un racconto composto fra ieri e oggi su sollecitazione di una consegna ricevuta al TFA. Dato che, come si dice da quelle parti, è bene mantenere un contatto fra ciò che si studia e la vita, propongo, in primis a tutte le mie lettrici, questo racconto sulle figure che nella mia vita hanno determinato e influenzato il mio rapporto con le parole, le storie, la letteratura.


Donne

Nella vita un pizzico di fortuna ci vuole. Io, devo ammetterlo, l’ho avuta: ho capito presto cosa volevo fare della mia vita e ho incontrato maestri che mi hanno spinto a realizzare i miei sogni. Maestri. Anzi, maestre. Donne. Il cosa infatti venne presto, non appena mi resi conto che una vita sola non mi attirava per niente, che non volevo accontentarmi, che non mi bastava ciò che pareva accontentare i più. L’amore per la letteratura nacque allora, prima ancora che imparassi a leggere, ascoltando le storie che due nonne pur molto diverse per carattere e modi non disdegnavano mai di raccontarmi: nonna Rosina narrava sostenuta da un profondo senso morale, sicura che le parole dovevano servire ai più alti scopi dell’educare alle virtù cristiane; nonna Teresa raccontava per il gusto di raccontare e, non di rado, di spaventare. Storie a soggetto sacro la prima, storie di incontri e cimiteri, di ladri e di creature mitologiche la seconda. A passo di episodi biblici e salbanèli, di storie di fame, guerra, tidìschi e partigiani giunsi alle elementari. Fu allora che l’incontro divenne completo, l’innamoramento si trasformò in amore. I libri, prima oggetti arcani e distanti, si fecero d’un tratto alla mia portata coi loro segreti e la loro magia. Il desiderio di imparare a decifrarli fu una molla formidabile per muovere i primi passi nel mondo complesso delle lettere e dei suoi. Il resto venne da sé. In seconda elementare, grazie all’entusiasmo che la maestra Giovanna sapeva infondere a noi “scriccioli”, come ci chiamava, alle prime letture seguirono per me e per alcuni compagni di classe i primi tentativi di scrittura creativa: libretti costruiti, scritti, illustrati e firmati da noi finivano in una biblioteca di classe accanto ai libri veri, quelli importanti, che la maestra ci leggeva in ore destinate a passare sempre troppo in fretta. Li ho conservati, quei libretti, e a volte torno a mostrarli a qualche bambino curioso di conoscere. Sembra incredibile, ma hanno ancora il potere di affascinare, lo stesso che, me ne rendo conto oggi, avevano la voce di nonna Rosina e nonna Teresa. Fu grazie alle nonne e alla mia maestra elementare che nacque l’amore per le storie e la letteratura, per le parole e per i libri. Eppure, quando terminai i cinque anni di scuola elementare non potevo sapere che la storia, che credevo avviata, avrebbe riservato ancora molte sorprese.

Il primo giorno delle medie incontrai la donna che forse più di tutte era destinata a segnare il mio rapporto con la letteratura, tanto da spingermi a desiderare di insegnarla a mia volta: la professoressa B.

Ero disorientato quel giorno. La scuola era nuova, immensa e stramba nella struttura architettonica, i compagni, a parte qualcuno, mai incontrati prima di allora. Dopo un saluto della preside durato più di un’ora, io e i miei compagni avevamo imparato poche ma essenziali nozioni: che non più maestri ci trovavamo davanti ma professori, che ad essi si dava rigorosamente del “lei”, che quando essi varcavano la soglia dell’aula si doveva scattare in piedi, salutare e attendere in silenzio.

Non so se attendevamo in silenzio quando arrivò la professoressa B., ma so che il silenzio venne con lei. Doveva indossare delle scarpe con un piccolo tacco perché ricordo, o credo di ricordare, il rumore dei suoi passi nel corridoio. Il corridoio, sì. La nostra classe si trovava in fondo ad un lunghissimo corridoio. Ed ecco che mi pare di risentire il rumore dei tacchi delle scarpe che indossava la professoressa B. O forse li immagino? Forse sbaglio, lei era già lì con noi mentre dal cortile ci avviavamo, dopo l’incontro, verso la nostra classe. Eterno girotondo dei ricordi…

Se ripenso a lei oggi non sono sicuro di poter dare un quadro completo delle emozioni che provai a vederla per la prima volta. Provo a figurarmi la scena. Mi appare subito l’inconfondibile acconciatura, i capelli di un biondo pallido perfettamente in ordine; quindi lo sguardo, quegli occhi glauchi che davano al volto scarno, allungato, un’espressione fredda, in apparenza distaccata; infine ecco le mani magre, ordinatissime anch’esse, con quell’anello con brillante sull’anulare sinistro perennemente rovesciato di lato. Di quelle mani, la destra era quella che segnava correzioni e giudizi, scritti a caratteri cubitali con una paper-mate rossa.

Com’era di statura? Doveva essere nella media ma allora mia appariva altissima. Camminava lentamente, con un passo inconfondibile. Dietro quei passi c’era tutto ciò che lei avrebbe rappresentato per i due anni in cui rimase con noi prima di lasciarci per la sopravvenuta età pensionabile: autorevolezza, rispetto, serenità di giudizio. Certo, lo affermo con senno di poi. All’inizio fu un trauma. Rispetto all’immagine severa ma al contempo gioviale e amorevole della maestra Giovanna, la professoressa B. appariva lontana come il cielo dalla terra.

In quel primo giorno di scuola attese il nostro sguardo prima di accomodarsi alla cattedra. Posò borsa e soprabito sulla sedia e si appoggiò al bordo del bancone.

- Io mi chiamo B*** - disse, - e sarò la vostra insegnante di italiano.

In classe non volava una mosca. Neppure in seguito, quando la nostra classe divenne celebre per certi “casi difficili” e per una certa generale inclinazione al brusio e all’irrequietezza, neppure allora la situazione con la professoressa B. mutò. Un silenzio di tomba regnava in classe durante le sue lezioni, persino le mosche si fermavano, dico oggi quando racconto l’episodio a qualche mio alunno. Non alzava mai la voce, non si lanciava in sfuriate. Il tono di voce rimaneva invariato fra le spiegazioni e i richiami. Eppure… eppure aveva qualcosa la professoressa B., qualcosa che nessun altro possedeva al pari di lei: un’aura quasi sacrale, un misto di eleganza e autorevolezza, autorevolezza che non aveva bisogno di esprimersi in parole o atteggiamenti particolari, che la sua stessa persona emanava. Era una donna d’altri tempi e fu per me una guida e un punto di riferimento. In un periodo difficile e in cui, assieme ai primi cambiamenti nel corpo e nell’animo, era giunto un periodo di crisi nel mio rapporto coi libri e la lettura, la professoressa B. seppe non solo riaccendere il desiderio ma lo fece arricchendolo di nuove sfaccettature. Fu allora che, ad esempio, cominciai ad apprezzare la grammatica, la precisione delle definizioni, lo sforzo di ordinare la materia magmatica della lingua. Le spiegazioni della professoressa B. erano pacate, spesso ex cathedra, raramente scriveva alla lavagna; tuttavia, a dispetto delle apparenze, sapeva suscitare l’interesse generale con poche abili mosse. Ricordo il nostro stupore di ragazzini quando correggeva errori che aveva trovato nel libro di testo, talvolta tipografici, più spesso di sostanza. Tra noi ci lanciavamo occhiate stupite: “Ma chi è questa? Corregge persino libro!”.

Ci volle tempo ma, passati alcuni mesi, al timore si sostituì, almeno per me, una sorta di venerazione per la professoressa B., sebbene la mia dotazione di 'ottimi', così cospicua alle elementari, avesse subito una netta contrazione al ribasso. La professoressa non era generosa quanto a giudizi, nelle verifiche e soprattutto nei temi.

- Santuliana - mi disse al momento del ritiro delle pagelle del primo trimestre, forse intuendo la mia delusione, - ad avere 'buono' io mi riterrei soddisfatta.

Non lo ero. E mi impegnai a fondo. Il secondo trimestre ebbi 'distinto', il terzo giunse l’'ottimo'. 
Tuttavia ciò che non rimane scritto nelle pagelle è forse ciò che oggi conta di più nel ricordo che ho della professoressa B.: in quell’anno di prima media e poi in quello successivo, alla paura dei primi tempi nacquero nei suoi confronti da parte mia un profondo rispetto e un’ammirazione sincera. Al contempo la professoressa, così severa di fuori, possedeva una capacità straordinaria di tirar fuori il meglio dai suoi alunni appassionandoli agli argomenti affrontati. Ho ancora nel cuore l’emozione di una lezione di letteratura sulla Chanson de Roland avvenuta in seconda media, così come mi rimane dentro l’esperienza di un lavoro di gruppo sulle tradizioni venete che la professoressa assegnò forse sempre in seconda. Anche il timore di deluderla doveva esser forte, almeno quanto il desiderio di restituire quanto ricevuto. A volte questo timore riaffiora in me accompagnando i ricordi, come quella volta in cui, di ritorno in anticipo da una mattinata a teatro, trovai il coraggio di dirle che non avevo fatto i compiti. L’avevo dimenticato. Era vero. Ricordo ancora le parole che utilizzai:

- Mi è uscito di mente e non li ho annotati sul diario - dissi.

Lei mi fissò appena con quei suoi occhi chiari, poi tornò a guardare avanti.

- Santuliana, non ti devi dimenticare - rispose soltanto.

Quando racconto questo episodio a qualche mio alunno nella stessa situazione curo con particolare attenzione di dire che da quel giorno non dimenticai più di svolgere i compiti.

Potrei raccontare tanto altro, descrivere le lezioni di narrativa che mi hanno fatto riscoprire, dopo un periodo in cui di libri non avevo più voluto sentir parlare, il gusto per la lettura: anche in questo caso, nulla di eclatante, era sufficiente il tono con cui la professoressa B. spiegava o leggeva. Potrei ma rischierei di rivelare troppo. E qualcosa voglio pure tenerlo per me, com’è dei ricordi più intimi e importanti.

Dopo di lei, al ginnasio e al liceo, ho incontrato altre figure fondamentali, la mitica S. che mi ha appassionato allo studio delle lingue e delle letterature antiche, la altrettanto mitica R. che sapeva intrattenere per ore su due versi di Dante o, addirittura!, su un sonetto del Marino. Tuttavia ormai la strada era tracciata, il rapporto d’amore con la letteratura s’era fatto stabile e sicuro, gli strumenti fondamentali del cuore più che della mente acquisiti. E questo lo devo alle figure, tutte femminili, che ho incontrato lungo il cammino dall’infanzia alle soglie dell’adolescenza: alle nonne, alla maestra Giovanna, alla professoressa B.

Delle nonne oggi una è ancora con me. Ora sono io a raccontarle delle avventure che vivo a scuola, coi ragazzi, o delle storie che racconto e che ogni tanto provo a mettere per iscritto. La maestra Giovanna a volte la incrocio per strada o al supermercato: ogni occasione è una festa di ricordi ed emozioni. Ad ogni incontro, in un modo o nell’altro la ringrazio per avermi insegnato a scrivere. Con la professoressa B. mi sono incontrato poche volte, non più di due. In entrambe le occasioni, al mio saluto, mi ha riconosciuto all’istante.

- Santuliana, se proprio tu! - ha esclamato una mattina in cui l’avevo fermata fra i banchi del mercato.

Abbiamo scambiato poche parole. Lei era come la ricordavo, come la ricordo. E se anche non sono riuscito a dirle quanto avrei voluto, mi consola sapere che a volte basta uno sguardo per comunicare molto più di tante parole. A lei, in fondo, bastava.

                                                                               S. Urbano di Montecchio Maggiore, 8 marzo 2015



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