Ieri sera, in compagnia di una cara amica, sono andato al cinema. Non in grandi sale né in "villaggi" che portano il nome di grandi marchi, sono andato in uno dei pochi cinema della mia provincia che proiettano una pellicola rimasta fuori dai grandi circuiti di distribuzione e che tuttavia ha goduto nel nostro paese di presentazioni di primo livello anche in televisione. Mi riferisco a Pride, film vincitore della Queer Palm al festival di Cannes del 2014 e lanciato in Italia nel più prestigioso tra i salotti culturali del piccolo schermo, "Che tempo che fa". Ma veniamo al film. Dopo aver letto recensioni, parlato con amici che già l'avevano visto, guardato il trailer e alcuni spezzoni, alta era l'aspettativa. E, finalmente, dopo mesi di film deludenti o soddisfacenti e basta, con Pride sono riuscito ad emozionarmi davvero.
Riassumo brevemente la vicenda, tratta, fra l'altro, da una storia vera. Siamo nella Gran Bretagna del 1984, in piena era Thatcher e in pieno sciopero dei minatori, quel lunghissimo, estenuante sciopero che fermò per mesi e mesi l'estrazione carbonifera per impedire la chiusura forzata di molte miniere voluta dalla Lady di ferro. Il clima e l'ambientazione mi hanno riportato subito ad altri film ambientati nello stesso periodo: al magico Billy Elliot, che vidi per la prima volta ai tempi delle medie, o al commovente e umoristico Brassed Off, in italiano Grazie, signora Thatcher, che ai temi sopra citati univa quello della musica bandistica come tentativo di riscatto dal desolante scenario imposto da una politica lontana dalle persone.
In Pride però, accanto al dramma dei minatori, si apre subito un altro tema: la discriminazione sessuale di gay e lesbiche nella Gran Bretagna di allora. Mentre si svolge infatti il pride di Londra del 1984 un attivista gay, Mark Ashton, propone di avviare una campagna di raccolta fondi per i minatori in sciopero, fondando l'iniziativa sull'assunto che entrambe le categorie, omosessuali e minatori, sono categorie emarginate dalla medesima società. Fra dubbi, defezioni e difficoltà, sei amici accettano infine di sostenere l'idea e nasce il comitato LGSM (Lesbiche e Gay Sostengono i Minatori). Si raccolgono le prime somme di denaro ma i problemi non cessano: quando infatti si tratta di devolvere il ricavato i sei trovano solo porte chiuse e cornette che sbattono. L'idea che infine sblocca la situazione è quella di contattare direttamente un piccolo paese del sud del Galles che vive di estrazione mineraria.
Da qui inizia il bello, potremmo dire. Fra iniziale diffidenza e in certi casi aperto rifiuto, minatori da una parte e lesbiche e gay dall'altra cominciano a conoscersi e a capire che la loro è davvero una lotta contro lo stesso nemico.
Ne risulta una storia che appassiona e commuove, che avvince e diverte, una storia di lotta comune, di amicizia, di crescita e nella quale prendono posto storie personali altrettanto commoventi e appassionanti: quella di Mark, attivista mai stracco di cambiare il mondo, quella di Joe Copper e del suo drammatico coming out in famiglia, quella di Zoe, che a lungo è, come dice lei stessa, l'unica 'L' del LGSM. Inoltre, come ho già detto, nel film si ride, a tratti a crepapelle. Complici umorismo british, stereotipi esibiti a tal punto da non apparire più tali e trovate fra le più diverse, Pride, in sé commedia drammatica, sa alternare con sapiente maestria il riso e il serio, proponendo al contempo temi e scenari che possono dire molto anche a noi. A trent'anni di distanza. Come spesso accade, riso e sorriso introducono alle più serie riflessioni. E Pride è un gioiello anche per questo.
- Si piange e si ride allo stesso tempo - abbiamo esclamato entrambi uscendo dalla sala.
Lascio a voi, amici lettori, scoprire il resto, assicurando che non ve ne pentirete.
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