Resto sempre più basito nel seguire
fantomatici dialoghi e confronti sui social network, in
special modo su facebook. In un "luogo" in cui tutti vedono, pochi
leggono e ciascuno può dire la sua, la quantità di stupidaggini su cui
sempre più spesso mi trovo a posare gli occhi mi lascia addosso un'incredibile inquietudine, che non di rado si muta in rabbia, più ancora diviene
frustrazione. L'ultimo caso, alcuni giorni fa. Una simpatica signora,
amica di un amico di un'amica di un amico, scrive in uno di quegli spassosi gruppi "Sei del posto tale se..." che al mercatino organizzato
dalla scuola del suo paese, in fila per scambiare i libri non ha visto
nemmeno uno straniero. Apriti cielo! La discussione che segue merita di
essere riportata.
A risponderle per primo è un signore che si affretta a precisare come i veri poveri <<siamo noi mica quelli che sbarcano a migliaia e che il governo mantiene a nostre spese>>. L'autrice del post rincara subito dopo la dose, ipotizzando testi pagati dal Comune (come le bollette del resto): e di qui le danze del libero pensiero hanno inzio. Chi dà ragione, chi dice che è solo un caso. Il signore torna a commentare: <<Che siano analfabeti?>> scrive, subito quotato da altri. Chi dice che alla Caritas pure è così, chi si mette a pubblicare articoli su stupri commessi da stranieri e così via. La simpatica signora, che commento dopo commento rivela, nei toni e nelle parole, il motivo di questo suo non troppo arguto post, tiene a sottolineare che non è razzista, si dice anzi aperta ad ogni cultura che non sia la propria, ha scritto solo per mostrare come ormai i veri poveri siano gli italiani. E subito chi le fa eco, che non è questione di razzismo, ma-di-noi-veneti-che-paghiamo-sempre-per-tutti. Qualcuno prova a ribattere, i commenti si scaldano. La grammatica, già spesso un'opinione in queste discussioni, si piega, con le buone o con le cattive, alle esigenze espressive.
Ora, mi si dirà che perdo tempo a preoccuparmi di queste cose: fatti del genere sono all'ordine del giorno della galassia di internet. Concordo, e aggiungo che un mondo virtuale tenderà inevitabilmente a riprodurre la molteplicità vorticante del mondo reale, diversità di opinioni inclusa. Il fatto che mi lascia sempre più impietrito è come i tanti gruppi detti "di discussione" non servano in realtà nemmeno a confrontarsi civilmente. A velocità incredibile si scivola nell'attacco, nell'offesa o nell'anatema. Il tutto condito con luoghi comuni, con slogan più o meno datati, più o meno palesi, più o meno consapevolmente usati. Ma non basta. Noto con crescente preoccupazione come tali sedicenti gruppi divengano un veicolo di intolleranza, di razzismo e di vero e proprio odio, spesso nemmeno troppo velato. Non faccio fatica a pensare cosa mi risponderebbero molti: ciascuno è libero di scrivere ciò che vuole. Da parte mia non sto invocando la censura, non sia mai. Ma mi domando come sia possibile che, giunti ad un certo limite, non scatti almeno un'auto censura. Siamo davvero sicuri che scrivere tutto quanto ci passa per la testa sia segno di libertà e democrazia?
Questa continua esibizione di sé, delle proprie opinioni, anche di quelle che uno farebbe meglio a tenersi in domo sua, unita ad una malizia di fondo, denota più spesso un'istintualità, un "ragionare di pancia" che bene non può fare ad un confronto sano. Il quadro che si denota è quello di un'arena continua, in cui ognuno dice la propria, col tono e il linguaggio che vuole o gli è consentito, quasi mai tendendo ad un confronto che arricchisca tutti, più spesso aspirando all'approvazione di quanti seguono. E tutti, ovviamente, forti e sicuri dietro lo schermo di un computer o quel che è. Per raccogliere una manciata di "mi piace" in fondo non serve argomentare civilmente e razionalmente, può essere anzi d'impaccio. Meglio gridare, insultare, ragionare a slogan e frasi fatte. Tanto più che,se anche si tenta di argomentare con raziocinio, quasi mai nelle discussioni uno ammette il proprio errore o modifica una posizione.
A risponderle per primo è un signore che si affretta a precisare come i veri poveri <<siamo noi mica quelli che sbarcano a migliaia e che il governo mantiene a nostre spese>>. L'autrice del post rincara subito dopo la dose, ipotizzando testi pagati dal Comune (come le bollette del resto): e di qui le danze del libero pensiero hanno inzio. Chi dà ragione, chi dice che è solo un caso. Il signore torna a commentare: <<Che siano analfabeti?>> scrive, subito quotato da altri. Chi dice che alla Caritas pure è così, chi si mette a pubblicare articoli su stupri commessi da stranieri e così via. La simpatica signora, che commento dopo commento rivela, nei toni e nelle parole, il motivo di questo suo non troppo arguto post, tiene a sottolineare che non è razzista, si dice anzi aperta ad ogni cultura che non sia la propria, ha scritto solo per mostrare come ormai i veri poveri siano gli italiani. E subito chi le fa eco, che non è questione di razzismo, ma-di-noi-veneti-che-paghiamo-sempre-per-tutti. Qualcuno prova a ribattere, i commenti si scaldano. La grammatica, già spesso un'opinione in queste discussioni, si piega, con le buone o con le cattive, alle esigenze espressive.
Ora, mi si dirà che perdo tempo a preoccuparmi di queste cose: fatti del genere sono all'ordine del giorno della galassia di internet. Concordo, e aggiungo che un mondo virtuale tenderà inevitabilmente a riprodurre la molteplicità vorticante del mondo reale, diversità di opinioni inclusa. Il fatto che mi lascia sempre più impietrito è come i tanti gruppi detti "di discussione" non servano in realtà nemmeno a confrontarsi civilmente. A velocità incredibile si scivola nell'attacco, nell'offesa o nell'anatema. Il tutto condito con luoghi comuni, con slogan più o meno datati, più o meno palesi, più o meno consapevolmente usati. Ma non basta. Noto con crescente preoccupazione come tali sedicenti gruppi divengano un veicolo di intolleranza, di razzismo e di vero e proprio odio, spesso nemmeno troppo velato. Non faccio fatica a pensare cosa mi risponderebbero molti: ciascuno è libero di scrivere ciò che vuole. Da parte mia non sto invocando la censura, non sia mai. Ma mi domando come sia possibile che, giunti ad un certo limite, non scatti almeno un'auto censura. Siamo davvero sicuri che scrivere tutto quanto ci passa per la testa sia segno di libertà e democrazia?
Questa continua esibizione di sé, delle proprie opinioni, anche di quelle che uno farebbe meglio a tenersi in domo sua, unita ad una malizia di fondo, denota più spesso un'istintualità, un "ragionare di pancia" che bene non può fare ad un confronto sano. Il quadro che si denota è quello di un'arena continua, in cui ognuno dice la propria, col tono e il linguaggio che vuole o gli è consentito, quasi mai tendendo ad un confronto che arricchisca tutti, più spesso aspirando all'approvazione di quanti seguono. E tutti, ovviamente, forti e sicuri dietro lo schermo di un computer o quel che è. Per raccogliere una manciata di "mi piace" in fondo non serve argomentare civilmente e razionalmente, può essere anzi d'impaccio. Meglio gridare, insultare, ragionare a slogan e frasi fatte. Tanto più che,se anche si tenta di argomentare con raziocinio, quasi mai nelle discussioni uno ammette il proprio errore o modifica una posizione.
Quanto
siamo lontani dalla dialettica antica, dal confronto socratico! Per
Socrate, uno dei padri della filosofia occidentale, confutare l'errore
era d'obbligo nel cammino verso la verità, e ciascun confronto
dialettico doveva implicare anche un innalzamento morale. Dov'è andato
il demone che, secondo il filosofo, dovrebbe spingere e, ancor più,
trattenere l'uomo?
Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797. |
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