Pubblico di seguito un breve articolo uscito sul fascicolo della Sagra di S. Eurosia di S. Urbano.
«Il primo che venne ad abitare
quassù pare sia stato un certo Biasio Massignan, il quale proveniente da
Marsiglia, dapprima si fermò a Novale di Valdagno, pascolando le pecore, dipoi
passò a S. Urbano, dove, trovata l’acqua necessaria per il bestiame, pose
sede». Così Agostino Agosti descriveva, all’inizio del Novecento, le origini
dell’abitato di S. Urbano nel suo Memorie storiche di Montecchio Maggiore
(Arzignano, Tip. Dal Molin 1909). Se oggi gli studi storici e le scoperte
archeologiche hanno posto ben più indietro nel tempo i primi insediamenti di
quello che sarebbe in seguito divenuto S. Urbano, su un dato l’Agosti aveva
ragione: quell’acqua che il pastore Biasio trovò per le sue pecore è da sempre
una ricchezza che ha consentito la vita sui nostri colli, favorendo la pratica
dell’agricoltura e lo sviluppo delle contrade.
Oggi che le memorie vanno
svanendo, soffocate dalla fretta, dalla distrazione e dagli interessi economici
per essere spesso sostituite da storie che poco hanno a che vedere con la civiltà
contadina, a testimoniare il rapporto antico fra uomo e acqua restano le nostre
fontane, ben tre quelle dell’abitato principale – la fontana del prete,
del prà de Bepo, del Lavello – e quelle sparse per le contrade
del colle e della pianura. Così l’escursionista domenicale che, partendo dal
centro del paese, voglia raggiungere i Bernuffi costeggiando l’antico confine
fra Montecchio e Sovizzo sul monte Sarolo percorre appunto il sentiero “delle
fontane”; e qualora volesse proseguire altre ne troverebbe, tanto proseguendo
verso i Bernuffi quanto scendendo verso la Valbona lungo l’antica Strada degli
asini, ripulita, come altri sentieri, dal “Gruppo trodi M. Pellizzari”.
E qui giova riflettere un
istante sui toponimi. Valbona, la valle buona, la valle dai campi
fertili, è nome che rivela ancora una volta l’importanza dell’acqua per la vita
nel nostro territorio, nome attestato, per quanto sappiamo, sin dal 1206. Da un
documento conservato presso l’archivio diocesano si apprende infatti che l'allora
titolare della Chiesa di Vicenza, il vescovo Uberto, al fine estinguere un
cospicuo debito in cui versava l’episcopato, ottenne dal patriarca di Aquileia,
suo superiore, di vendere ai canonici della cattedrale alcune proprietà vescovili,
tra cui un feudo che, comprendendo i territori di Montemezzo, Monteviale e
Gambugliano, proseguiva attraverso la valle e i colli «sino
alla Valle Bona […] e dalla stessa Valle Bona risalendo per il Turrino sino a
Bocca delle Mole» (A. Morsoletto, Signori
e popolo nelle prime valli del Retrone nell’Età di Mezzo, in Sovizzo e le sue genti. Storia di un
villaggio rurale alle sorgenti del Retrone, a cura di A. Dani, Edizione del
Comune di Sovizzo 1994). Altro nome per la contrada, tramandato dalle memorie orali,
è Valbruna, probabilmente dall’antico germanico *Brunno,
cioè “sorgente” (Luciano Chilese, Toponomastica di Montecchio Maggiore,
Francisci Editore, 1988). La valle buona, la valle della sorgente. Ecco cos’era
la Valbona, prima che l’acqua si accompagnasse negli ultimi anni al pensiero
dell’inquinamento, delle falde compromesse, dei PFAS…
La fontana perduta... |
Giunto infine in
Valbona, il nostro escursionista potrebbe oggi godere di una piacevole scoperta
e, al contempo, soffrire la scomparsa di un altro capitolo della nostra storia.
Due erano infatti le fontane di Valbona conosciute: due almeno fino allo scorso
anno. Di una, più in alto, si erano in realtà da tempo perse le tracce, dal
momento che un canneto, cresciuto fin troppo rigoglioso, aveva soffocato l’antico
sito; l’altra era invece visibile dalla strada che conduceva alla contrada,
seppur negli ultimi tempi coperta dall’erba alta e da qualche russa
spuntata attorno. A pochi passi da quest’ultimo manufatto sorgeva la lapide,
oggi spostata sull’altro lato della carreggiata, che ricorda Marziano Salvato e
Sereno Patalfi, caduti il 26 aprile 1945 combattendo per la libertà contro il nazifascismo.
La fontana era lì. Era, appunto, fino al 26 aprile 2018. Triste ironia della
sorte, settantatré anni dopo lo scontro che portò alla morte i due giovani la
fontana è stata distrutta dal sopravanzante cantiere della Superstrada (a
pagamento) Pedemontana Veneta. Quasi nessuno se n’è accorto, a parte gli
abitanti della contrada, che su quella fontana avevano costruito la loro storia,
e qualche altro, appassionato o non del tutto distratto dal rumore di un mondo
troppo preso da altro che dalle tracce di un passato ormai lontano. E pensare a
quante fatiche, quanto lavoro, quante storie di vita si sono accumulate fra
quei sassi, fra quel lento silenzioso scorrere di acque…
... e la fontana ritrovata |
E tuttavia non
vogliamo lasciarci con il pensiero di ciò che non è più, perché, come dicevamo,
in quelle stesse settimane è stata riportata alla luce da alcuni volontari la
fontana più alta della contrada. La struttura è quella tipica delle fonti del
nostro territorio: un piano superiore per raccogliere l’acqua e un lavatoio
inferiore, realizzato nel Novecento, a sfruttarne il corso per consentire il
lavaggio dei panni. Attualmente l’acqua non scorre, ma un piccolo intervento
alla conduttura – ha commentato un paesano del posto – la potrebbe senza troppa
fatica far rivivere. Ci affidiamo a questa speranza, perché anche l’acqua, come
le memorie della nostra terra, torni a scorrere. E magari, scorrendo, possa far
riflettere l’escursionista domenicale, e noi con lui, su un mondo che non è più
ma che avrebbe, forse, ancora qualcosa da insegnare.