riporto di seguito il testo dell'orazione che a nome dell'ANPI di Vicenza ho pronunciato ieri, nel corso della commemorazione del partigiano Dino Carta, ucciso dai fascisti il 12 gennaio 1945.
Commemorazione del partigiano Dino Carta
Vicenza, sabato 13/01/2018
Signori rappresentanti delle
Istituzioni, delle associazioni combattentistiche, cittadine e cittadini,
colleghi insegnanti ma soprattutto parenti di Dino Carta e ragazze e ragazzi
delle scuole, dell’Istituto “Boscardin”, del “Farina”, del “Pigafetta” e del
“Rossi”: saluto tutti voi con affetto e porto i saluti dell’Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia, che qui rappresento e che ringrazio per
l’opportunità offertami di parlare oggi a voi tutti.
Non è senza emozione che vi
parlo. Ho infatti ancora viva nella memoria la cerimonia dello scorso anno,
alla quale presenziai assieme agli allievi della mia terza media. Proprio
allora, alcuni di essi, avvicinatisi alla lapide che ricorda Dino, caduto in
questo luogo il 12 gennaio 1945, mi chiesero di spiegare loro cosa
significassero certe espressioni che si trovano scritte. Rileggiamo insieme la
lapide:
QUI
RABBIA DEI FRATELLI
ASSOLDATI DALL’INVASORE TEUTONICO
SPEZZÒ LA GIOVINEZZA DI
RABBIA DEI FRATELLI
ASSOLDATI DALL’INVASORE TEUTONICO
SPEZZÒ LA GIOVINEZZA DI
DINO CARTA
VENTENNE.
I COMPAGNI DI LOTTA
VOLLERO ETERNATO L’EROICO MARTIRIO
PER L’IDEALE SUBLIME DELLA LIBERTÀ
N. 7-11-1924 M. 12-1-1945
VENTENNE.
I COMPAGNI DI LOTTA
VOLLERO ETERNATO L’EROICO MARTIRIO
PER L’IDEALE SUBLIME DELLA LIBERTÀ
N. 7-11-1924 M. 12-1-1945
Colpiscono
alcune parole, che allora potei illustrare solo in parte ai miei ragazzi e che
ora vorrei riprendere: la «rabbia dei fratelli assoldati dall’invasore»,
l’aggettivo «teutonico», l’altro aggettivo, «ventenne», la parola «martirio»,
l’espressione «ideale sublime della libertà». Non le riprendo per fare una
lezione di etimologia, bensì per ricordare, a me e a voi, quanto i segni di ciò
che avvenne dal settembre 1943 al maggio 1945 siano ancora visibili nella
nostra terra, nelle nostre città, per le strade e in angoli talora purtroppo
dimenticati. Sono dei moniti che dovrebbero ricordarci di continuo il prezzo
pagato per conquistare la libertà, la democrazia, la pace, la giustizia. E
invece nelle nostre vite spesso distratte non ce ne accorgiamo, intenti come
siamo a fissare lo sguardo sugli schermi dei nostri smartphone o ad inseguire
le incombenze quotidiane.
Oggi
dunque ricordiamo un ragazzo di vent’anni, cresciuto a Vicenza sotto la
dittatura fascista e morto per mano degli sgherri di quella dittatura, un
regime che, dopo aver preso il potere con la forza, nel 1922, aveva oppresso la
libertà per oltre vent’anni. Una dittatura che, servendosi dell’intimidazione e
della violenza, aveva messo a tacere gli oppositori, molti dei quali avevano
pagato con la vita. Penso a Giacomo Matteotti, a cui pure sono intitolate vie,
strade e, qui a Vicenza, una piazza; penso ad Antonio Gramsci, ai fratelli
Rosselli, a Piero Gobetti, a Giovanni Amendola e a molti altri uccisi fra gli
anni Venti e Trenta, noti e meno noti. Uccisi perché volevano essere liberi di
seguire i loro ideali.
Il
fascismo, invece, aveva messo a tacere l’opposizione, aveva vietato la
manifestazione libera delle idee, soppressi gli altri partiti e la libertà di
stampa e costruito il consenso degli italiani attraverso un’organizzazione
capillare. Ogni momento della vita degli italiani era controllato e organizzato
affinché non germogliasse la minima idea contraria a quella dominante, affinché
tutti seguissero ciecamente il “credere, obbedire, combattere” voluto dal duce,
lo stesso duce che nel 1935 portò l’Italia ad aggredire l’Etiopia, paese in cui
i nostri soldati si macchiarono di crimini di guerra atroci; lo stesso duce che,
con l’avvallo del re Vittorio Emanuele III, le cui spoglie sono rientrare da
poco in Italia, fece promulgare nel 1938 – quest’anno saranno ottant’anni – le
leggi razziali, una macchia indelebile nel nostro paese.
Ecco,
ogni volta che mi trovo a ricordare ragazzi come Dino Carta, penso al
“miracolo” che rappresentò la loro ribellione al fascismo. E non a caso uso la
parola “miracolo”. Dino, come del resto moltissimi altri, cresciuto sotto il
pensiero oppressivo, unico e dominante dell’ideologia fascista, senza avere la
possibilità, come noi oggi invece abbiamo, di connettersi a internet per avere in
un attimo qualsiasi tipo di informazione, fece tuttavia la propria scelta. Scelse
la strada della libertà, che allora voleva dire Resistenza.
Si
trattava di una scelta difficilissima, avvenuta quando l’Italia, dopo tre anni
di guerra disastrosa a fianco della Germania nazista, l’8 settembre 1943 si era
ritrovata divisa, abbandonata dal re e dalla classe politica, occupata a nord
dai tedeschi - l’«invasore teutonico» di cui parla la lapide - e al sud dagli anglo-americani che
faticosamente avanzavano per liberarla. Ma la divisione e la guerra erano anche
civili, interne all’Italia, tra «fratelli», come recita la lapide: da una parte
chi aveva deciso di combattere dalla parte giusta, come Dino Carta, e dall’altra
chi invece ancora voleva perpetuare l’odio, la violenza, la disuguaglianza
sociale ed etnica, il razzismo, la schiavitù dell’uomo sull’uomo, fino
all’eliminazione fisica di chiunque non fosse ritenuto degno di vivere nel
“mondo nuovo” dall’ideologia nazifascista.
Dino poteva sembrare un ragazzo
come tanti. Studente prima del Patronato “Leone XIII” e poi dell’Istituto “Rossi”,
viene descritto da chi lo conobbe come un ragazzo pieno di vita. Appassionato
calciatore, era uno dei portieri del Vicenza nel campionato regionale del ’43-’44.
Ma Dino non era solo questo. Arruolatosi nella polizia ausiliaria fascista,
dopo aver preso contatti con i partigiani della brigata “Argiuna”, aveva
iniziato la missione pericolosissima della collaborazione con la Resistenza,
passando informazioni preziose ai partigiani. Sospettato dai fascisti,
sorvegliato, venne scoperto e il 12 gennaio arrestato e portato a poche
centinaia di metri da qui, a Villa Girardi, in via Fratelli Albanese, la cosiddetta
“Villa Triste”, per essere interrogato e torturato, come da prassi nazifascista.
Da lì riuscì a scappare giungendo fino a via Calderari dove venne raggiunto e
ucciso.
Dino, dicevo poco fa, poteva
sembrare un ragazzo come tanti, ma quella sua scelta, pagata con la vita, lo
rese diverso: diverso da molti che combatterono, in buona o in cattiva fede,
dalla parte sbagliata come da coloro che scelsero di non combattere. Questa sua
scelta, pagata con la vita, lo rese uomo libero e «martire»,
parola che significa “testimone”, usata nell’antica Grecia in ambito
giuridico e passata poi al Cristianesimo per rappresentare il fedele che,
consapevole di perdere la vita, non accetta di rinnegare la propria fede. Quale
fosse la fede di Dino ce lo dice l’ultima espressione della lapide che ho
voluto segnalare, quell’«ideale sublime della
libertà» per cui Dino diede la vita. A vent’anni.
Noi oggi spesso dimentichiamo il
valore della libertà o, addirittura, ne travisiamo il significato, arrivando a
ritenere che essa equivalga a fare ciò che si vuole, pensando a noi stessi, al
nostro piacere o tornaconto, paghi di un vestito di marca, dell’ultimo modello
di smartphone, del lavoro, della carriera, di una bella macchina, e degli altri
“chi se ne frega!”. Attenzione, ragazze e ragazzi, perché sotto questa falsa
idea di libertà, deformata da un sistema economico perverso come quello in cui
ci troviamo oggi e che a noi mostra solo le sue luci allettanti, si annida di
nuovo il fascismo, a partire proprio da quell’espressione, “fregarsene”, che riecheggia
il motto delle squadracce fasciste “me ne frego”.
Al “me ne frego” fascista rispose
nel dopoguerra un grande educatore: don Lorenzo Milani. All’ingresso della
scuola di Barbiana ancora oggi è visibile il motto, “I care”, “m’importa, mi
sta a cuore”. Ecco, Dino ebbe a cuore la libertà, non solo per se stesso ma per
gli altri, rischiò la vita e con la vita pagò di persona per conquistare
qualcosa che lui, cresciuto sotto il fascismo, non aveva conosciuto. Dino
andava cercando la libertà, la quale, ci ricorda Dante all’inizio del
Purgatorio, «è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta». E oggi c’è ancora bisogno di ragazzi come Dino, ragazzi
come voi, di venti, diciannove, diciotto anni, l’età che avevano moltissimi
partigiani, ragazzi che abbiano a cuore «l’ideale sublime della libertà». Come
ha scritto Mario Rigoni Stern, oggi «non è il tempo di riprendere in mano
un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più
difficile da usare che non la violenza».
Anche oggi la libertà non è
scontata. Mi tornano in mente le parole di Piero Calamandrei, padre
costituente: «La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando
comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della
mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di
non sentire mai».
Ma come si difende oggi la
libertà? Voi, ragazze e ragazzi, la difendete innanzitutto interessandovi agli
altri, alla società, alla vita politica. Non credete a chi vi dice che è tutto
marcio e corrotto, che non vale la pena battersi. Chi dice così ha già perso e
diventa complice di quanti vorrebbero scardinare le conquiste della Resistenza,
sancite dalla nostra Costituzione. Interessatevi, battetevi per una maggiore
giustizia sociale, per la pace, per una libertà vera e consapevole. La strada è
difficile ma, a differenza dei tempi in cui visse Dino Carta, è già tracciata,
e in modo luminoso, dalla nostra Costituzione, che proprio quest’anno festeggia
i settant’anni dall’entrata in vigore, il primo gennaio 1948. La Costituzione è
il frutto della collaborazione fra tutti i partiti antifascisti che avevano
preso parte alla Resistenza. È un documento importantissimo, un patrimonio
comune che tutti dovremmo conoscere, amare, difendere e cercare di applicare
ogni giorno, specie i suoi primi dodici fondamentali articoli.
La libertà si difende dunque,
prima di tutto, con l’impegno per gli altri. Ma occorrono anche la conoscenza,
la preparazione e lo studio, personale e a scuola, di tutte le discipline e in
particolare della storia. Sì, ragazze e ragazzi, cittadine e cittadini, occorre
conoscere, perché fare memoria è importante, è
fondamentale, ma se non si conosce non si può ricordare con consapevolezza. A
noi tutti spetta il compito di conoscere con onestà ciò che è stata la Resistenza,
senza mitizzarla, senza dimenticare anche gli errori che possono essere stati
commessi in singoli episodi o da singoli personaggi, ma riconoscendo l’impegno
ideale che la animava e la contrapponeva al nazifascismo. Impegno che Dino
assunse consapevolmente e con coraggio.
Attenzione,
ragazze e ragazzi, perché stiamo assistendo giorno dopo giorno ad una vera e
propria involuzione sociale, politica e culturale: la crisi economica, il
neoliberismo esasperato, i flussi di persone in fuga dalla miseria o dalle
guerre, guerre spesso finanziate o segretamente appoggiate dai paesi più
prosperi, ma anche la scarsa conoscenza del passato e l’indifferenza, tutti
questi fattori stanno mettendo in crisi la fiducia nella democrazia. Lo vediamo
in Europa, dove le estreme destre xenofobe e razziste sono in crescita; lo
vediamo in Italia, dove partiti che si ispirano al nazifascismo aumentano
sempre più i loro adepti; lo abbiamo visto anche a Vicenza, all’istituto
“Rossi”, dove, il 13 aprile scorso, giovani vicini a movimenti di estrema
destra, si sono permessi di affiggere uno striscione contro una presunta
insegnante trans, nascondendosi dietro la difesa di valori a loro avviso
tradizionali. Lo abbiamo visto, infine, nei giorni scorsi, dietro l’iniziativa
della “befana tricolore” portata avanti da un partito di estrema destra
richiamando la “befana fascista” che portava i doni ai bambini. Eppure in rete
molti si sono scandalizzati non contro i neofascisti, che aiutano i bisognosi,
purché naturalmente italiani e bianchi, ma contro l’ANPI, accusata di
intolleranza: una follia! È un mondo alla rovescia quello che sta venendo
avanti…
Vediamo
sempre di più persone dichiararsi pubblicamente fasciste senza che nessuno
obietti nulla, diffondere sui social foto e contenuti inneggianti al duce o
alla dittatura, sostenere che dopotutto “il fascismo ha fatto anche cose buone”,
che non era una dittatura rigida. E a seguire una lista di luoghi comuni,
errori, palesi falsità e inesattezze, che però si insinuano nella mente di chi
non ha la conoscenza di quanto è avvenuto. Ecco perché è importante leggere,
studiare, documentarsi. Ragazze e ragazzi, leggete Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu per capire quali erano i
metodi del fascismo, leggete le Lettere
dei condannati a morte della Resistenza per capire gli ideali si oppose al fascismo
e al nazismo, leggete i libri di Primo Levi, di Elie Wiesel, di Boris Pahor, di
Mario Rigoni Stern, per citare solo alcuni nomi di sopravvissuti alla barbarie
nazifascista.
Interesse,
dunque, e conoscenza. Così potremo affermare senza paura che il fascismo non è
un’opinione, è un reato, non fu un governo che aveva a cura gli italiani ma un
regime violento e oppressivo, non fu e non è nemmeno politica, ma rappresenta la
negazione stessa della politica, la quale, ci insegna Aristotele, è dialogo e
confronto, attraverso la parola, di opinioni e pensieri diversi.
Dunque,
oggi che, per citare Primo Levi, viviamo sicuri nelle nostre tiepide
case, oggi che siamo circondati da visi amici e che viviamo in pace, dobbiamo
vigilare affinché istrioni e fomentatori d’odio non riemergano, palesi o
mascherati dietro parole più o meno innocenti. A
chi torna a proporre vecchi e ben noti slogan o utilizza, spesso deformandole,
parole o espressioni come “tradizioni”, “nazione”, “sangue”, “razza”, “prima
noi”, “prima gli italiani”, “invasione” riferita ai flussi migratori, “patria”
rispondiamo che non questa patria noi vogliamo, ma quella patria onesta, giusta,
in pace, libera e accogliente per la quale centinaia di migliaia di giovani
come Dino hanno combattuto, molti fino a dare la vita: una patria italiana ma
senza barriere, una patria all’interno di una più grande patria che sono
l’Europa e il mondo.
“Nostra
patria è il mondo intero, nostra legge la libertà” cantavano i partigiani sulle
nostre montagne. Questo allora il compito nostro e vostro, ragazze e ragazzi,
in particolare, per onorare davvero, con la nostra vita, quanti, come Dino
Carta, hanno dato la loro per la nostra libertà.
Onore
al partigiano Dino Carta, evviva la Resistenza, evviva la Costituzione!
Michele
Santuliana