un brevissimo post per segnalare che ho iniziato a collaborare con la rivista bimestrale "Quaderni Vicentini", rivista che, come si legge nel sito http://quadernivicentini.it/, ha come obiettivo «l'analisi della realtà contemporanea e storica: cronaca, politica, cultura».
Nel numero 2/2017 potrete trovare un racconto scritto qualche tempo fa, ma a cui tengo molto, Il concerto, di cui riporto l'incipit in calce a queste righe.
"Quaderni Vicentini" si può trovare nelle edicole e librerie di Vicenza città e provincia e anche on-line nei siti dei distributori maggiori. Qui potete reperire informazioni: http://quadernivicentini.it/rivenditori/.
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Il concerto
Non era un buon periodo, questo era
poco ma sicuro. Ogni sera, tornando dal lavoro, questa piccola e insieme irritante
verità si affacciava nella mente di Giacinto Masiero. Piccola e irritante come
una scheggia di legno, una sgrezénda
avrebbe detto lui, che era veneto, anzi vicentino, e sapeva che con le sgrezénde c’è poco da scherzare:
subdole, ti si infilano sotto la pelle in un attimo, le senti appena o non le
senti proprio, e poi, quando te ne accorgi, è già troppo tardi. Allora arriva
una sensazione che non è nemmeno dolore, che ha in sé dello sberleffo bello e
buono. Solo un ago sottile, opportunamente sterilizzato sulla fiamma del fornello,
potrà avere ragione, ma non è detto, della sgrezénda.
Forse però quel pensiero non era
neppure simile ad una sgrezénda,
pensava Giacinto Masiero ogni sera, infilando la macchina nel garage di casa
sua. Perché una sgrezénda si può
cavar via in qualche maniera. Quel pensiero invece non si poteva cavare, era
fisso come un chiodo da muro o, peggio ancora, come un fischer da muro. Per estrarlo
si sarebbe dovuto scavare, magari addirittura buttar giù tutto e poi dare di
nuovo le malte. Invece, le uniche cose che Giacinto Masiero faceva erano
scrollare la testa e sbuffare in silenzio. E bestemmiare, anche, ma piano, tra
i denti: bestemmie sussurrate che sua moglie fingeva di scambiare per preghiere.
Insomma, buttava male per lui.
Pazienza per il lavoro, il suo lavoro di tornitore che per tanti anni era stato
soltanto cartellino-otto ore, cartellino-casa e ora invece andava e veniva
tagliato dalla cassa integrazione a rotazione; pazienza anche per la sua vita
coniugale, non del tutto piatta ma, anche nei brevi attimi di una notte rubata,
controllata e prevedibile. Del resto, e la schiena, e la prostata che
cominciava a farsi sentire, e la menopausa di sua moglie che le metteva spesso
e volentieri la voglia solo per toglierla in quattro e quattr’otto… tutto contribuiva,
ma pazienza.
Pazienza, infine, che suo figlio si
facesse poco vedere e sentire ma studiare a Milano, dove pure riusciva a
mantenersi quasi da sé, era una gran cosa per lui. Anzi, non solo per lui, per
tutta la famiglia. Sarebbe stato il primo dottore ad arrivare in casa! E per
Giacinto Masiero questa era una soddisfazione bella e buona, sufficiente a
fargli superare tanti momenti di scoramento. Pazienza dunque, sempre pazienza.
Ma che adesso anche i vicini di casa si fossero messi a piantar rogne riguardo
ai confini del terreno dietro casa, questo era troppo anche per il carattere
remissivo di Giacinto Masiero. Il fatto poi che “i vicini” fossero in realtà
suo fratello, con cui condivideva, oltre al cognome , anche uno dei muri
portanti della casa, non semplificava le cose. Anzi, le rendeva più intricate e
fastidiose da risolvere.
Dopotutto non era stato lui a segnare
i confini, quella volta! L’avevano fatto assieme e allora tutto era andato
bene. Perché adesso suo fratello tirava fuori quelle storie? Era in pensione:
non poteva godersi il riposo senza rompere le balle a chi invece, ringraziando
il governo ladro, avrebbe dovuto lavorare fino a perdere i denti e il resto?
Forse era per quest’ultima spina, forse tutto l’insieme, chissà. Giacinto
Masiero scrollava ogni sera la testa mentre apriva la porta di casa. No, non
era per niente un bel periodo. Di ciò poteva star sicuro, pensava dondolando un
poco la testa...