In questi giorni sto ristudiando Marziale, poeta latino del I secolo d.C. Una decina di giorni fa il ministero ha divulgato le cifre delle preiscrizioni alle superiori: i licei tengono e sono anzi in crescita, anche se il perché sarebbe da indagare a fondo, possibilmente senza preconcetti e ideologie varie. Ma non è questo il mio pensiero oggi; oggi, come dicevo, la mente corre a Marziale.
Nato a Bilbilis, in Spagna, intorno al 40 d.C., nel 64 si sposta a Roma, sotto Nerone imperatore. L'Urbe, caput mundi, è il luogo più adatto per tentare la sorte e raggiungere la sospirata fama, tanto più che in quel periodo alcuni fra i massimi intellettuali sono di origine spagnola, in primis Seneca filosofo e suo nipote, il poeta Lucano.
Stringe amicizie in alto loco, ma il suo entusiasmo svanirà in breve tempo: nel 65 l'imperatore scopre una congiura e la reprime nel sangue; uno dopo l'altro muoiono amici e protettori del poeta giunto dalla Spagna per fare fortuna. Marziale si adatta così alla vita del cliens, istituzione del mondo romano che legava un uomo libero ad un patronus: il cliens era a servizio del protettore, lo omaggiava quotidianamente, lo accompagnava nella vita pubblica e sbrigava per suo conto azioni di vario tipo, ricevendo in cambio una sportula, elargizione di cibo col tempo divenuta una piccola somma di denaro.
Marziale fa questa vita fino al 98, anno in cui decide di tornare nella città natale, dove muore intorno al 104 d.C. Una vita agra quella di Marziale, raccontata in parte da lui stesso nei suoi epigrammi.
Ed è di questi epigrammi che vorrei scrivere, anzi, di uno in particolare. Spesso si ricorda Marziale per i suoi lazzi più o meno osceni, per le sue scurrilità, talora per qualche sua sagace sententia. Complice il genere letterario che coltivò tutta la vita, l'epigramma appunto, Marziale fece della brevità, dell'arguzia, dell'ironia pungente dei marchi di fabbrica e le rese formidabili strumenti conoscitivi verso un mondo popolato da individui di ogni tipo, dai loro vizi (spesso) e dalle loro virtù (talvolta). Hominem pagina nostra sapit, la nostra pagina sa di uomo/umanità (X, 4) rivendica in un suo componimento il poeta, che altrove rincara la dose contro coloro che disprezzano la sua poesia e citano la lascivia dei suoi carmi per screditarlo: lasciva est nobis pagina, vita proba, scabrosa è la nostra pagina, la vita però è retta (I, 4).
Sto proponendo Marziale ad una mia classe di liceo. Mi sembra piaccia: è bello vedere studenti diciannovenni col pensiero fisso all'Esame di Stato e alle loro vite ridere e sorridere di fronte a versi scritti due millenni fa, riflettere, fare paragoni. Il tutto, absit iniuria verbis, con roba che a detta di qualcuno non serve a niente! Oggi vorrei condividere l'emozione provata, amici lettori, a ritrovare dopo anni un epigramma del nostro poeta. Si tratta di un componimento funebre, argomento che nei quindici libri di epigrammi composti da Marziale è presente, seppur in parte non maggioritaria. La tematica si lega alle origini stesse del genere letterario che Marziale coltiva e tuttavia non c'è qui soltanto un topos letterario o la mera fedeltà ad un modello precostituito.
Il testo, numero 34 del V libro, è dedicato a Erotion, una piccola schiava morta in tenera età. Offro il testo latino e una mia ipotesi di traduzione.
[Epigrammi V 34]
Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam
oscula commendo deliciasque meas,
parvola ne nigras horrescat Erotion umbras
oraque Tartarei prodigiosa canis.
Inpletura fuit sextae modo frigora brumae,
vixisset totidem ni minus illa dies.
Inter tam veteres ludat lasciva patronos
et nomen blaeso garriat ore meum.
Mollia non rigidus caespes tegat ossa nec illi,
terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.
A te padre Frontone, a te madre Flaccilla, affido questa bambina, bacini miei e mio amore, affinché la piccola Erotion non si spaventi per le nere ombre e per le bocche mostruose del cane infernale. Avrebbe compiuto il sesto inverno se fosse vissuta ancora per almeno sei giorni. Che possa giocare felice tra i vecchi protettori e con bocca balbettante chiami il mio nome. Un non rigido/irto cespuglio/tumulo copra le sue tenere ossa e tu, terra, non esserle pesante: non lo fu lei con te.
Non credo ci sia bisogno di commentare: milleottocento anni prima di Edgar Lee Masters, questa piccola iscrizione ci dona uno spaccato di vita e, insieme di poesia fra le più toccanti di sempre. A voi, cari lettori, ogni altra riflessione, su Marziale, sulla poesia, sulla vita. Per me la piccola speranza che se qualcuno, sua sponte e seguendo le proprie inclinazioni, continua ad iscriversi al liceo, testi come quello proposto saranno ancora letti, studiati, amati. Buona domenica.