Mercoledì sarà il Giorno della Memoria, ricorrenza sancita in Italia dalla legge n. 211 del 20 luglio 2000, <<al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo
ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini
ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la
morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono
opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno
salvato altre vite e protetto i perseguitati>>.
Come sanno i miei lettori, si tratta di una ricorrenza sulla quale ho sempre speso qualche parola. Senza pretese, con il semplice desiderio di condividere alcune riflessioni su un argomento che mi sta particolarmente a cuore.
Negli ultimi anni nel nostro paese sono fiorite le iniziative legate al ricordo della Shoah: pubblicazioni di libri per adulti e ragazzi, proiezioni di film e documentari, approfondimenti di vario genere da parte delle emittenti televisive e degli altri mezzi di comunicazione. Col tempo, insomma, la data del 27 gennaio, anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa, è diventata istituzione riconosciuta e condivisa. Non voglio perciò affrontare questioni che saranno ampiamente trattate nei prossimi giorni, solo ribadire un paio di punti su cui sento la necessità di soffermarmi.
Scrivevo l'anno scorso su questo blog (potete risalire all'articolo cliccando qui) che intravedo infatti alcuni rischi nel rendere la Memoria, dovere imprescindibile di tutti, un qualcosa di ufficiale: innanzitutto il rischio di perdere il senso profondo del ricordare, rendendo alla lunga il gesto qualcosa di ripetitivo e stanco, fatto più per dovere che per reale e radicata convinzione; in secondo luogo il fatto di lasciarsi eccessivamente suggestionare dalle emozioni, dalle immagini, dalle cifre, lasciando la mente lontana e limitandosi agli aspetti più sentimentali, quando non addirittura macabri o raccapriccianti, che inevitabilmente sono legati alla Shoah.
Sia chiaro, non sto demonizzando le emozioni né dicendo che istituzionalizzare una ricorrenza come quella in questione sia sbagliato, occorre però mantenere vigile la mente, comprendere per giudicare e rendere vivo il ricordo affinché sia monito per il presente. Questo mi ha insegnato la frequentazione assidua degli scritti di Primo Levi e la conoscenza diretta di sopravvissuti ai campi di concentramento e alle vicissitudini della Seconda guerra mondiale.
Nei prossimi giorni ci sarà un gran parlare di quanto accaduto poco più di settant'anni fa. Facciamo allora in modo che la Memoria non rimanga relegata ad un giorno o ad un'ora prefissati o ad un angolo della nostra interiorità; cerchiamo di approfondire, accogliamo qualche provocazione, usiamo la testa. Per quanto mi riguarda, cercherò di farlo coi miei studenti, ai quali proporrò alcune riflessioni dell'autore di Se questo è un uomo. Proprio ora tengo aperta accanto alla tastiera l'edizione scolastica del libro. Butto quindi l'occhio sulla Prefazione del 1972, redatta da Levi in occasione della prima edizione rivolta alle scuole. Le provocazioni sono numerose e spingono tutte sulla necessità di comprendere la <<meticolosità scientifica>> con cui venne condotta l'uccisione di milioni di persone, a vario titolo considerate diverse.
Riflettiamo, ad esempio, sugli interessi che spinsero chi sapeva a restare in silenzio o, addirittura, ad assecondare, l'azione dei carnefici. I tempi sono maturi per farlo. Ancora, poniamo attenzione sui rapporti fra fascismo, cui il nazional-socialismo si ispirava, e Shoah. Scrive a tal proposito Levi: <<I campi non erano [...] un fenomeno marginale e accessorio [...]; erano una istituzione fondamentale dell'Europa fascistizzata>>.
Di qui la necessità pressante di vigilare, oggi più che mai, perché, scrive ancora Levi, <<non è morto il fascismo: consolidato in alcuni paesi, in cauta attesa di rivincita in altri, non ha cessato di promettere al mondo un Ordine Nuovo. Non ha mai rinnegato i Lager nazisti, anche se spesso osa metterne in dubbio la realtà. [...] Come Brecht ha scritto, "la matrice che ha partorito questo mostro è ancora feconda">>.
Meditiamo dunque quanto è stato e rimaniamo vigili. Perché come ebbe a dire ancora Levi nell'intervista che propongo di seguito, <<al fascismo di oggi manca soltanto il potere per ridiventare quello che era>>.