non è senza un brivido d’emozione (e con questo clima parlar di brividi ha quasi del miracoloso!) che rompo il lungo silenzio di questi ultimi mesi per tornare a scrivervi. Con il 15 giugno scorso ho concluso corsi ed esami del secondo periodo di TFA e, se tutto va bene, il prossimo 27 luglio dovrei terminare in modo definitivo il lungo e tortuoso percorso abilitante. Nel frattempo anche la scuola è terminata; così, in un attimo mi sono trovato con la felice incombenza di riorganizzare le giornate.
Il maggior tempo a disposizione mi ha consentito di riprendere letture e riflessioni che da gennaio giacevano inevase e, Iuppiter!, persino di riprendere a scribacchiare qualche appunto. Vedremo che ne sarà…
Infine, da solo o in compagnia, sono tornato a caccia di libri, pratica che non avevo mai del tutto abbandonato ma che ho ripreso con maggior impegno. E l’impegno ha portato frutti inaspettati.
La scorsa settimana un’amica con cui condivido questa passione per i recuperi ha scovato in un negozio in cui esso era passato pressoché inosservato un libro rarissimo, di cui ha poi voluto, nonostante il mio rifiuto iniziale, farmi dono: la prima edizione, Mondadori 1939, di Parole, raccolta di poesie di Antonia Pozzi.
Prima della settimana scorsa Antonia Pozzi era per me soltanto un nome, incontrato forse fra le pagine di qualche rivista letteraria o antologia poco scolastica.
Nata nel 1912 da una ricca famiglia lombarda (il padre era un celebre avvocato, la madre una nobildonna milanese), visse un’esistenza difficile, finendo per togliersi la vita nel dicembre 1938, mentre sull’Europa gravava ormai l’ombra dei totalitarismi che avrebbero presto condotto alla catastrofe. Era un’ipersensibile, come disse di lei Maria Corti, e insieme un carattere forte, anticonformista e libero. Visse un’intensa storia d’amore con Antonio Maria Cervi, suo insegnante di Lettere classiche al liceo, un rapporto ostacolato in tutti i modi dalla famiglia e che finì nel 1933, probabilmente a causa delle pressioni esercitate dai genitori di Antonia.
All’università intraprese studi letterari frequentando, fra gli altri, Luciano Anceschi e Vittorio Sereni e laureandosi col filosofo Antonio Banfi. Pur coltivando molteplici forme artistiche (oltre che di letteratura era appassionata di fotografia) non pubblicò mai nulla in vita, lasciando in un quaderno le sue poesie piene di ricerca, di vita, di paesaggi montani ma anche di sofferenza e intima disperazione. Eugenio Montale, che scoprì le sue poesie postume, la definì «forever young».
Vorrei oggi condividere un testo che non è presente nell’edizione che mi è stata donata, copia n. 176 di un’edizione di 300 esemplari curata dal padre e che raccoglieva una selezione opportunamente emendata delle poesie di Antonia. La poesia, tratta dall’edizione critica edita da Garzanti a cura di A. Cenni e O. Dino (1989 e 1998), s’intitola Filosofia e in questi ultimi giorni sono tornato spesso a rileggerla, anche ripensando al percorso compiuto in questi mesi. Antonia aveva diciassette anni quando la scrisse.
Filosofia
Non trovo più il mio libro di filosofia.
Tiravo il carrettino
un marmocchio di otto mesi - robetta molle, saliva, sorrisino -
Quel che m’ingombrava le mani, l’ho buttato via.
Il fratellino di quel bimbetto
a due anni, è caduto in una caldaia d’acqua bollente:
in ventiquattrore è morto, atrocemente.
Il parroco è sicuro che è diventato un angioletto.
La sua mamma non ha voluto andare al cimitero
a vedere dove gliel’hanno sotterrato.
Per i contadini, il lutto è un lusso smodato:
la sua mamma non veste sempre di nero.
Ma quando quest’ultima creaturina,
con le manine, le pizzica il viso,
ella cerca il suo antico sorriso:
e trova soltanto un riso velato - un povero riso in sordina.
Oggi da una donna ho sentito
che quella mamma, in chiesa, non ci vuole più andare.
Stasera non posso studiare,
perché il libro di filosofia l’ho smarrito.
Carnisio, 7 luglio 1929